Page 216 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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fondamentale di questa strategia di risposta in quanto permettevano di dividere il fronte
avversario e, soprattutto, di ridurre l’impegno delle truppe nazionali. Altrettanto essenziale,
allora come oggi, era riuscire ad attirare dalla propria parte la popolazione, attraverso un’at-
tiva opera di propaganda e di pacificazione per privare i guerriglieri della loro principale
fonte di alimentazione.
Obiettivo delle operazioni di controguerriglia doveva essere la distruzione dell’avversa-
rio e non l’occupazione di una posizione, da ciò la necessità di agire con reparti consistenti,
non inferiori al livello di battaglione, tendendo al doppio avvolgimento delle formazioni
nemiche. Elementi fondamentali dell’azione erano esplorazione terrestre, sicurezza in mar-
cia e stazione, attacco, resistenza.
L’esplorazione terrestre doveva essere affidata a reparti con caratteristiche di elevata
mobilità e quindi a sciatori sui terreni nevosi, alla cavalleria sui terreni accidentati, alle
autoblindo lungo le rotabili e sui terreni percorribili fuori strada, a uomini di grande in-
traprendenza nei terreni boscosi e impervi. Le forze esploranti dovevano avere consistenza
adeguata e operare relativamente vicino al grosso tanto che in qualche caso, soprattutto nei
boschi, la loro funzione poteva essere svolta dall’avanguardia. A contatto avvenuto, loro
compito principale era determinare l’ampiezza dello schieramento avversario, ricercandone
i fianchi e fissandoli col fuoco, adottando a tal scopo formazioni frontalmente estese e poco
profonde.
La sicurezza in marcia di una colonna appiedata richiedeva forti avanguardie e retro-
guardie e uno schermo sui fianchi. In terreno montuoso, i reparti fiancheggianti, di forza
non inferiore al plotone, dovevano muovere sempre sull’alto e di regola precedere la colon-
na anche se questo poteva ritardarne la marcia. I punti di passaggio obbligato dovevano es-
sere occupati preventivamente dall’avanguardia o anche da un’aliquota del grosso. Qualora
la colonna fosse stata attaccata alle spalle, la retroguardia doveva prendere subito posizione
e reagire contrattaccando. Una decisa reazione era infatti sempre il modo migliore per
allontanare il nemico e riprendere la propria libertà di movimento, mentre ripiegando a
scaglioni si faceva il suo gioco permettendogli di serrare le distanze. Nel caso delle autoco-
lonne, era opportuno provvedere al servizio di sicurezza con mezzi corazzati (autoblindo,
carri armati, autocarri protetti) che dovevano precederle mantenendosi però in contatto
visivo. Anche il fiancheggiamento, per quanto possibile in funzione delle caratteristiche di
percorribilità del terreno ai lati della rotabile, doveva essere assicurato con mezzi corazzati.
La fanteria autoportata, in caso di attacco, non doveva rimanere a bordo degli automezzi né
nelle loro vicinanze ma prendere posizione a terra e reagire col fuoco. Quanto alla sicurezza
in stazione, le colonne dovevano scegliere posizioni dominanti o almeno non dominate,
attuando un dispositivo a caposaldo idoneo alla difesa su 360° ed eseguendo anche lavori
campali per le armi d’accompagnamento. Il dispositivo, con al centro i materiali pesanti,
doveva essere protetto con posti fissi avanzati e pattuglie mobili negli intervalli.
L’attacco doveva essere rapido e violento, evitando un impiego frazionato e per scaglio-
ni delle forze e gravitando sulle ali dello schieramento nemico per aggirarlo. Le armi più
potenti (mortai e cannoni) dovevano essere spinte in avanti per ottenere la necessaria supe-
riorità di fuoco, allo scopo di demoralizzare e costringe alla ritirata un nemico che, peraltro,
Capitolo terzo