Page 222 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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222 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
loro posto potevano in tal caso essere nominate anche personalità appartenenti alle forze di
occupazione o al seguito di queste.
Gli agenti della polizia locale mantenuti in servizio per la tutela dell’ordine pubblico,
passavano alle dirette dipendenze dei comandanti locali delle forze armate di occupazione.
La giustizia penale, nei confronti degli appartenenti alle forze di occupazione, era ammi-
nistrata esclusivamente dai tribunali militari istituiti presso le forze medesime e secondo
le leggi italiane. Agli stessi tribunali era demandata la competenza a giudicare, sempre
secondo la legge italiana, gli abitanti dei territori occupati per i reati commessi in danno
delle forze di occupazione, o comunque delle autorità dello stato italiano. Anche la stampa
locale era posta sotto la diretta vigilanza del comando delle forze di occupazione, che eser-
citava pieni poteri di censura preventiva, e sempre sotto stretto controllo militare erano le
telecomunicazioni e la corrispondenza postale. Un’opportuna vigilanza doveva infine essere
esercitata sugli istituti di insegnamento, per evitare che vi venisse svolta attività di propa-
ganda contraria alle forze di occupazione. Di norma, era fatto divieto alla popolazione di
possedere armi e la libertà di riunione era limitata.
L’autorità militare occupante poteva prendere immediato possesso dei beni immobili
appartenenti ad amministrazioni pubbliche nemiche e destinati a scopi militari o che co-
munque costituivano mezzo diretto per la condotta della guerra (fortificazioni, caserme,
arsenali, depositi, stabilimenti produttivi, impianti ferroviari e portuali). Allo stesso modo
capitali, crediti esigibili, mezzi di comunicazione, materie prime, generi di consumo e,
in generale, tutti i beni mobili appartenenti a pubbliche amministrazioni nemiche, atti a
servire a scopi di guerra, diventavano di proprietà dello stato occupante. Diversamente,
andava preservata la proprietà dei beni mobili e immobili delle amministrazioni comunali
e degli enti pubblici locali, come pure dei beni destinati al culto, all’istruzione, alle arti,
alle scienze, come chiese, ospedali, ospizi, scuole, musei, biblioteche. Nessun risarcimento
era dovuto per i danni arrecati alla proprietà privata dalla forze occupanti per necessità
attinenti alla guerra.
I poteri delle autorità militari avevano comunque dei limiti. I comandanti delle forze
armate di occupazione dovevano ispirare i loro rapporti con la popolazione del territorio
occupato a criteri di giustizia e di rispetto dei diritti degli abitanti e non potevano preten-
dere da loro giuramento di fedeltà, essendo vietata ogni forma di coercizione. L’onore ed
i diritti della famiglia, la vita degli individui e la proprietà privata, oltre all’esercizio dei
culti andavano rispettati. Di regola, era vietata la deportazione della popolazione da una
zona all’altra del territorio, salvo che il trasferimento o lo sgombero non fossero imposti da
necessità inerenti alle operazioni belliche. Nessuna sanzione collettiva, pecuniaria o di altra
specie poteva essere inflitta alle popolazioni a causa di fatti individuali, salvo che esse potes-
sero ritenersi solidalmente responsabili. L’entità delle requisizioni di cose e servizi doveva
essere proporzionata alle risorse del territorio, in modo da evitare, nei limiti del possibile,
gravi perturbamenti all’economia locale e alle condizioni di vita delle popolazioni.
La pubblicazione 4231 si ispirava alle leggi sullo stato di guerra oggetto del regio decre-
to 8 luglio 1938, n. 1415, Approvazione dei testi della legge di guerra e della legge di neutrali-
tà, riportate per intero nella pubblicazione n. 3462 del Ministero della Guerra. Di interesse
Capitolo terzo