Page 230 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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230 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
Erano riconosciute le difficoltà che incontrava il servizio informazioni nei territori asse-
gnati alla 2ª Armata a causa dell’ostilità di buona parte degli abitanti all’occupazione italia-
na e dell’abilità delle formazioni partigiane a celarsi nei boschi ed a confondersi tra la popo-
lazione. Tra le misure precauzionali per il mantenimento dell’ordine pubblico era previsto il
ricorso all’internamento, a titolo protettivo, precauzionale o repressivo, di singoli individui
o di nuclei familiari o, al limite, anche di intere collettività di villaggi e zone rurali. Era con-
sentita anche la presa di ostaggi, tratti di solito quella parte della popolazione sospettata di
appoggiare i ribelli, ma in caso di necessità senza distinzione di sorta. Gli abitanti delle case
prossime a luoghi ove si erano svolte azioni di sabotaggio, qualora non fossero identificati
i responsabili, potevano essere internati a titolo repressivo e in questo caso il loro bestiame
veniva confiscato e le case distrutte. Ai fini della protezione delle ferrovie, che costituivano
uno degli obiettivi prioritari dei partigiani, era vietato ai civili di circolare o di sostare sui
binari e nelle loro immediate vicinanze o presso opere d’arte quali ponti, viadotti e gallerie.
Analogamente era vietato aggirarsi nei pressi di elettrodotti, linee telegrafiche, opere d’arte
stradali, apprestamenti ed infrastrutture militari.
La circolare faceva anche riferimento all’impiego delle truppe croate e della Milizia
Volontaria Anticomunista (M.V.A.C.). I reparti croati sotto il controllo tattico dei co-
mandi italiani comprendevano unità dell’esercito (domobrani), della milizia ustascia e della
gendarmeria, ma tutti facevano riferimento alla loro catena nazionale di comando per la
dislocazione e l’impiego. Le formazioni M.V.A.C., sotto il pieno controllo dei comandi
italiani, venivano normalmente impiegate attorno ai presidi come “cuscinetto” informativo
e tattico, concorrendo poi alla loro difesa come reparti mobili o di riserva, mentre nel corso
delle operazioni a largo raggio erano di solito utilizzate come reparti esploranti e di coper-
tura, ma sempre con il sostegno di unità italiane, soprattutto di artiglieria, dal momento
che, come le unità croate, avevano vistose carenze in termini di equipaggiamento ed erano
considerate poco solide.
L’azione offensiva, appoggiata e basata sul solido possesso dei centri più importanti del
territorio, rappresentava l’unico sistema per imbrigliare e battere l’avversario. Frequenti,
anche d’inverno, dovevano essere le operazioni mobili di vasta portata e continue quelle
dei reparti mobili dei presidi. Nelle azioni a breve raggio era raccomandato l’impiego di
colonne molto leggere, con organi logistici ridotti al minimo e prive di armi pesanti, “che
muovano, vivano e combattano per qualche giorno, come si suol dire “alla macchia”, così
come fa l’avversario e fanno le formazioni M.V.A.C.” Ciò al fine di opporre ai guerriglieri
le stesse formazioni e gli stessi procedimenti tattici da loro impiegati: “Si tratta, in altre
parole, di opporre, come cosa a sé, o come concorso ad azioni più massicce, la guerriglia
alla guerriglia.”
Per il trattamento da riservare ai partigiani catturati, la Circolare No. 3 C rimandava a
disposizioni a parte che vennero notificate negli allegati ai fogli n. 7000 in data 7 aprile e n.
7899 in data 19 aprile 1942 del Comando 2 Armata. Tali documenti stabilivano che: “I ri-
a
belli colti colle armi alla mano ed i maschi validi che, pur non essendo stati colti colle armi
alla mano, siano catturati nelle immediate vicinanze di gruppi di ribelli, in circostanze tali
da rendere evidente che hanno partecipato alla lotta armata; siano catturati non nelle im-
Capitolo terzo