Page 240 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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240 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
efficienti, indusse i comandi italiani, già nell’autunno 1941, a emanare dettagliate direttive
per il contrasto alla guerriglia, cosa che altrove nei Balcani avverrà solo nel 1942. Il 14 otto-
bre il VI Corpo d’Armata diramò un documento, Caratteri delle azioni di controguerriglia,
che già ne individuava gli elementi salienti nell’importanza del fattore psicologico, nella
mobilità delle forze utilizzate, nella loro superiorità quantitativa e qualitativa rispetto alla
prevedibile minaccia, in un’organizzazione dei presidi tale da renderli imprendibili, nello
sfruttamento della superiore potenza di fuoco e nel costante ricorso a manovre avvolgenti,
nella puntuale definizione delle predisposizioni logistiche, nel contatto frequente con le
popolazioni per controllarle e tranquillizzarle, nel ricercare sempre e ovunque la massima
sicurezza, innanzitutto evitando di ripiegare sotto la pressione avversaria.
Nel corso del colloquio con il comandante della 2ª Armata, il 28 dicembre 1941, Mus-
solini dettò le linee d’azione che le forze italiane avrebbero dovuto seguire nella repressione
della guerriglia: per evitare di subire imboscate si doveva intensificare l’attività d’intelligen-
ce, mantenere le truppe estremamente mobili, non utilizzare le strade più battute. Ambro-
sio trasmise queste indicazioni ai reparti dipendenti, rimarcando la necessità di un impiego
più estensivo della potenza di fuoco dell’artiglieria e dell’aviazione soprattutto nelle opera-
zioni difensive.
In precedenza, il comando della 2ª Armata aveva sottolineato la necessità di migliorare
l’addestramento della minore unità organica, la squadra di fanteria, nella guerra contro le
bande. Era teorizzato un impiego delle unità di fanteria per pattuglie, le uniche formazioni
ritenute in grado di agganciare e distruggere le sfuggenti troike e i nuclei di guerriglieri
e sabotatori: “Squadre agili, molto allenate, alleggerite di ogni impedimento non indi-
spensabile, educate ad agire isolatamente al comando di un graduato che tenga in pugno
i suoi uomini, che sappia bene orientarsi, che opponga furberia a furberia, consentono
l’impiego a piccoli reparti delle truppe, l’unico che possa dare buoni risultati, perché i grossi
reparti, che agiscono riuniti ricorrendo alle normali misure di sicurezza, sono fatalmente
condannati a cadere nel tranello ed essere distrutti” . Se l’azione indipendente di squadre
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e pattuglie si dimostrò utile contro le prime manifestazioni della guerriglia, divenne però
ben presto improduttiva e addirittura pericolosa con il costituirsi di bande sempre più
numerose e già in ottobre fu quindi ordinato di evitare l’impiego isolato di piccoli reparti,
destinati a essere l’obiettivo principale delle aggressioni partigiane.
Le direttive emanate per la repressione della ribellione nella ex-Jugoslavia non tennero
probabilmente nella giusta considerazione le proposte che venivano dal basso, dalle truppe
che sul campo affrontavano i guerriglieri. I comandi di Divisione e di Corpo d’Armata si
riservarono sovente un’ampia libertà d’azione anche in campo politico: tale modus operandi
era imposto dalla complessità delle situazioni locali che differivano notevolmente da zona a
zona. I comandi di livello inferiore, immersi in questa complessa realtà, a contatto con odi
atavici e in un clima di violenta e spietata contrapposizione, cercarono di ridurre il livello
di conflittualità per tutelare gli interessi nazionali riducendo nel contempo al minimo i
674 Foglio n. 8677 in data 12 settembre 1941, Addestramento reparti croati, comando 2ª Armata – Ufficio
Operazioni.
Capitolo terzo

