Page 241 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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La 2 armata e Le operazioni di controguerrigLia in JugosLavia (1941-1943) 241
rischi per le truppe. Si registrarono, così, divergenze sia nei sistemi repressivi sia nella linea
politica di relazioni con gli attori in campo nel “ginepraio” jugoslavo. I comandi militari
inferiori, in linea di massima, propendevano per metodi meno brutali di quelli poi ordinati
nella Circolare No. 3 C o delle direttive del duce di non fare prigionieri, mentre a livello
politico si preferiva la cooperazione coi serbo-ortodossi a un’eventuale alleanza, soprattutto
in campo militare, coi croati e i musulmani. Le proposte che giungevano dal basso, in
genere, ponevano l’accento più che sulle severe e sbrigative misure repressive, sui provvedi-
menti economici e sull’attività propagandistica, e alla fucilazione era preferita l’emigrazione
forzata dei sospetti di attività sovversiva. Occorreva, poi, migliorare l’organizzazione statale
ed amministrativa dei territori croati attraverso un maggiore coinvolgimento delle forze
italiane, che avrebbero dovuto estendere il controllo anche agli organi di polizia ed alle
forze armate di Zagabria.
Nonostante le lamentele dei militari italiani sul comportamento croato nei territori
occupati, a Roma si continuava a tentennare, propendendo per una linea accomodante
nei confronti di Zagabria, probabilmente ispirata dai tedeschi, e raccomandando misura e
tatto ai comandi della 2ª Armata . Le pressioni politiche ottennero lo scopo di indurre i
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comandi militari a una maggiore integrazione con le forze domobrane che operavano nella
seconda e terza zona, ma senza grandi successi. A dividere i comandi italiano e croato stava
anche la diversa concezione delle operazioni di controguerriglia, che vedeva gli ustascia pre-
ferire dispositivi sparsi e operazioni offensive di portata limitata mentre Roatta propendeva
per “presidi grossi e sicuri, azioni massicce” .
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L’organizzazione militare dei ribelli era studiata per condurre con forze esigue una guer-
riglia lunga e logorante. Il nucleo operante era l’odred, basato su 60-70 uomini, con una
buona pratica nell’uso delle armi perché già appartenenti all’esercito jugoslavo. Gli odred
potevano essere permanenti, costituiti dai rifugiati nei boschi, e di riserva, costituiti dai
contadini che vivevano ai loro margini. L’attività informativa era facilitata dalla conniven-
za delle popolazioni ed era svolta soprattutto da donne e ragazzi che sfruttavano la loro
libertà di movimento per raccogliere notizie. L’organizzazione logistica era imperniata su
depositi di viveri e armi sistemati in caverne o in baracche poste nel fitto dei boschi. Verso
la fine del 1941, le uniche bande con una struttura militare che in qualche modo potevano
rappresentare il governo jugoslavo, erano quelle cetniche facenti capo al generale Draza
Mihajlovic. Per alcune di queste, operanti in Serbia, Montenegro e Bosnia meridionale,
questo rapporto di dipendenza era chiaro ed evidente, non così per quelle insediate nel ter-
ritorio della 2ª Armata. Il loro programma era garantire la sopravvivenza delle popolazioni
serbo-ortodosse e costituire nel contempo un esercito che, entrando in azione al momento
opportuno in concomitanza con una qualche iniziativa alleata di vasta portata, permettesse
675 Foglio n. 2599 in data 13 febbraio 1942, Linea di condotta, S.M.R.E. – Ufficio Operazioni. Lo stesso
documento ordinava di diffidare dai cetnici, la cui linea di condotta non era ancora ben definita.
676 Foglio n. 1109 in data 2 febbraio 1942, Cooperazione truppe italiane e croate, comando 2ª Armata –
Ufficio Operazioni.

