Page 262 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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262 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
italiana, invece, la mancanza di unità dei cetnici era valutata favorevolmente, in quanto
escludeva la possibilità che il movimento si polarizzasse attorno a una persona o un ideale,
cosa che permetteva di controllarlo più agevolmente e di indirizzarne l’attività a tutto van-
taggio dell’occupante.
In genere, le truppe italiane, concentrate nelle regioni costiere, fra l’estate e l’autunno
del 1942 non vennero a contatto con le formazioni direttamente dipendenti da Tito ma
solo con formazioni ausiliarie con le quali impegnarono numerosi e duri combattimenti.
I partigiani continuavano a trattare nel modo peggiore i prigionieri che spesso venivano
eliminati, specialmente se appartenenti alla M.V.S.N., tuttavia il comando d’Armata, mal-
grado fossero sempre in vigore le leggi e disposizioni governative, applicò di sua iniziativa
procedure che facevano dei partigiani dei “veri e propri belligeranti”. Autorizzò, infatti, lo
scambio di prigionieri , permise che ufficiali medici si recassero presso formazioni par-
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tigiane, prive di personale medico, per curarvi i feriti, mise in libertà numerosi internati
su richiesta dell’avversario, garantì che tutti coloro che si fossero arresi non solo avrebbero
avuto la vita salva ma non sarebbero stati processati e, se non colpevoli di reati, addirittura
messi in libertà . Si presentarono così migliaia di individui tra i quali, soprattutto in
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Slovenia, alcune condannati in contumacia a morte o a pene severe per omicidi e altri
reati gravi che il comando d’Armata, malgrado le richieste della polizia e delle autorità
giudiziarie, non permise di perseguire. Frattanto per evitare che nelle operazioni venissero
arrestati degli innocenti o ne venissero danneggiati i beni, il comando d’Armata, prescrisse
che le colonne operanti fossero accompagnate da funzionari locali (gendarmi, borgomastri,
sacerdoti) conosciuti dalla gente e ordinò che i reparti si attenessero alle loro indicazioni.
Soprattutto nel 1942 gli italiani fecero ricorso all’internamento repressivo o precau-
zionale e a quello protettivo per contrastare la guerriglia. Il primo riguardava coloro che
avevano favorito, senza prendervi parte diretta, atti ostili contro le truppe italiane, si erano
resi colpevoli di reati lievi o erano fortemente sospettati di svolgere attività antitaliana, op-
pure a coloro che si erano arresi ed erano colpevoli di reati gravi, il secondo, invece, poteva
essere attuato a richiesta per quanti cercavano rifugio nei presidi italiani, rimanevano senza
casa o non intendevano farsi arruolare dai partigiani o dagli ustascia e desideravano esser-
ne protetti, oppure per i ribelli che si arrendevano e chiedevano protezione da eventuali
vendette. La differenza fra le due categorie di internati si concretizzava nella razione viveri
734 Lo scambio di prigionieri venne autorizzato da Supersloda con telegramma n. 2553/AC del 3 mar-
zo 1943. Supersloda inviò a Sarajevo una missione sanitaria logistica per il recupero e l’assistenza dei
militari italiani catturati nei combattimenti in Val Narenta del febbraio 1943 e scambiati con parti-
giani prigionieri o sfuggiti alla custodia dei titini. Dopo aver notato che le trattative per lo scambio
di prigionieri riguardavano di preferenza ufficiali e sottufficiali, Robotti ordinò di includere in ogni
accordo anche “un congruo numero di uomini di truppa”.
735 Ad esempio, il 18 febbraio 1943 il comando del VI Corpo d’Armata si accordò con la 2ª Brigata pro-
letaria per agevolare l’assistenza di 286 prigionieri del I Battaglione del 260° fanteria attraverso la con-
segna di razione viveri e di medicinali per la cura dei feriti.
736 Nella sola zona costiera del V Corpo d’Armata entro la fine del 1942 si erano arresi un centinaio di
ribelli. Le prime importanti defezioni in campo partigiano si erano registrate nell’aprile 1942.
Capitolo terzo

