Page 335 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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La 2 armata e Le operazioni di controguerrigLia in JugosLavia (1941-1943) 335
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Un fenomeno caratteristico fu l’arruolamento di formazioni locali per combattere l’in-
sorgenza comunista, soprattutto in Slovenia, in Dalmazia e in Montenegro. Il contributo
delle bande M.V.A.C. fu molto importante sia sul piano militare sia su quello propagan-
distico portando a una spaccatura nel fronte avversario. In molte importanti operazioni,
come in “Albia” e nella riconquista dell’Erzegovina della primavera 1943, l’azione delle
bande M.V.A.C. risultò fondamentale non solo in campo informativo ed esplorativo, ma
anche in combattimento. Probabilmente, se fossero state meglio equipaggiate, e se le au-
torità centrali italiane avessero resistito alle pressioni tedesche per il disarmo dei cetnici, le
M.V.A.C. avrebbero avuto ben maggiori possibilità nelle battaglie decisive del marzo 1943
in Erzegovina e del maggio dello stesso anno in Montenegro.
La lotta antipartigiana poteva svilupparsi sia in termini puramente difensivi, attraverso
l’occupazione materiale del territorio con una fitta rete di presidi, a difesa dei centri abitati,
e di capisaldi minori, a protezione delle vie di comunicazione, e azioni di rastrellamento a
livello locale negli spazi non presidiati , sia in termini più prettamente offensivi, con azio-
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ni manovrate a largo raggio e una presenza sul territorio limitata a pochi, robusti presidi .
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Lo S.M.R.E., nel periodo in cui ne fu a capo, Roatta, vide chiaramente il problema
strategico dell’insurrezione in Jugoslavia, ritenendo che potesse essere soffocata solo con
operazioni in grande stile, condotte congiuntamente da tutte le forze dell’Asse senza tenere
in considerazione i limiti di sfera d’influenza e di area di responsabilità per accerchiare e
distruggere le principali formazioni partigiane. Di fronte alla volatilità degli obiettivi e alla
estrema mobilità delle bande comuniste, che per sottrarsi alle forze dell’Asse si spostava-
no dall’una all’altra regione attraversando confini di stato e linee di demarcazione tra le
potenze occupanti dell’ex Regno di Jugoslavia, l’unica possibilità per incapsularle sarebbe
stata un’azione combinata degli eserciti italiano, tedesco, croato e bulgaro e delle milizie
loro alleate libera da condizionamenti di tipo territoriale. A impedire l’attuazione di questo
piano furono l’ostilità croata e l’avversione tedesca ad accettare l’autorità dei comandi ita-
liani, nonché il timore delle autorità di Zagabria di una possibile estensione dell’influenza
italiana . Si continuò così ad avere una rigida ripartizione delle forze italiane, e più in
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869 Tale sistema, se consentiva di imbrigliare la manovra dei guerriglieri e di ridurne le possibilità di ar-
ruolamento, richiedeva, però, l’impiego di notevoli forze in un dispositivo che rischiava di essere de-
bole ovunque.
870 Anche questo sistema, apparentemente più redditizio, aveva i suoi limiti, come dimostrò l’esperien-
za del piano “Primavera”: “Operazioni eseguite da grandi masse (anche più divisioni) possono scon-
volgere temporaneamente l’impalcatura logistica ed organizzativa dell’avversario, ma non stroncare
la rivolta, quando questa sia condotta da capi decisi ed appoggiata dalla popolazione locale. […] E’
come voler schiacciare un gruppo di mosche con un martello. Questo picchia, arreca ingenti ed inu-
tili danni, fa molto rumore e può darsi che spaventi, ma le mosche scappano e poco dopo ritornano
tranquille al loro posto” (iGino Gravina, Il movimento partigiano in Slovenia, in “Rivista Militare” –
1947).
871 Le tre opzioni operative erano: “1) un’operazione in grande, combinata cogli eserciti alleati, che con
azioni convergenti dalla periferia verso il cuore della Croazia estirpi radicalmente il male; 2) un’ope-
razione limitata ad una sola parte della Croazia da noi occupata e da svolgersi mediante azioni di ri-
pulitura della fascia costiera, previa occupazione lungo le Dinariche di una linea di sbarramento che

