Page 386 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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386 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
bombardarono il villaggio di Macfud con 5,6 tonnellate di ordigni esplosivi, nell’intento di
colpire con chiaro scopo punitivo quello che era ormai considerato un covo di ribelli.
L’agguato di Macfud fu uno dei primi colpi portati dalla guerriglia e un chiaro segnale di
quanto si stava preparando. Nello Scioa, intorno ad Addis Abeba, ma anche in altre regioni
dell’impero, come nel Beghemeder, nel Lasta e nell’Ermacciò, tra il Goggiam e il vecchio
confine con l’Eritrea, i capi amara – l’etnia dominante che nell’Etiopia del Negus deteneva la
maggior parte del potere – stavano rapidamente riorganizzando reduci e sbandati, potendo
contare sulla gran quantità di armi in circolazione e sull’appoggio delle popolazioni locali,
spesso convinte a scendere in campo con metodi brutali che contemplavano feroci e deva-
stanti rappresaglie nei confronti di quanti avessero fatto atto di sottomissione agli occupanti.
A complicare la situazione c’era il fenomeno endemico del brigantaggio che, nelle regioni
attraversate dalla strada imperiale, vedeva la sempre più attiva partecipazione delle bande
galla e uoggerat armate in funzione antietiopica. Sul fronte sud, e in particolare nell’Har-
rarghié, dove peraltro la popolazione di religione islamica era in larga parte favorevole agli
italiani, restavano in armi consistenti formazioni regolari dell’esercito del Negus, e così pure
nelle regioni del sud-ovest, Galla Sidamo, Borana, Bale, ancora totalmente fuori controllo.
In questo scenario alla Regia Aeronautica fu richiesto uno sforzo non inferiore a quello
prodotto durante la campagna che si era conclusa con l’ingresso delle truppe di Badoglio
nella capitale etiopica. Sotto l’imperversare del maltempo si dovettero attrezzare i campi
di recente occupazione, riposizionando e riorientando l’organizzazione logistica. Mentre il
materiale più urgente veniva trasportato in volo, il resto, destinato a garantire nel tempo
l’operatività dei reparti, fu fatto affluire via terra, con autocolonne fortemente scortate sulle
strade rese sempre meno praticabili dalle piogge e con la ferrovia di Gibuti, istituendo in
quel porto un ufficio imbarchi e sbarchi che provvedeva ad avviare quanto arrivava via mare
da Massaua e Assab verso le basi di Dire Daua, Giggiga, Moggio e Addis Abeba. Questo
balzo in avanti venne effettuato contemporaneamente a una intensa attività aerea, imposta
da improrogabili esigenze di natura logistica e tattica, ma senza modificare l’organizzazio-
ne operativa e la struttura dei comandi, dal momento che esistevano ancora due distinti
scacchieri, nord e sud, con il secondo ancora caratterizzato dall’esistenza di un fronte di
combattimento per la presenza dei resti dell’armata di ras Nasibù nell’Harrarghié e delle
intatte armate di ras Desta Damtou nel Galla-Sidama e nel Borana e del degiac Bejené
Merid nel Bale.
Dalla metà di maggio l’intervento dell’aeronautica fu richiesto innanzitutto per il tra-
sporto di uomini e rifornimenti, a vantaggio sia della guarnigione della capitale sia dei
presidi più isolati, utilizzando i velivoli con la maggiore capacità di carico e quindi i bom-
bardieri S.81 e Ca.133, mentre i Ro.37, oltre alle consuete missioni di ricognizione armata,
provvedevano all’esecuzione dei rilievi fotografici necessari per l’aggiornamento della car-
tografia. In questo quadro si inserisce il trasporto in volo da Macallé ad Addis Abeba di un
battaglione granatieri, forte di 21 ufficiali e 798 uomini di truppa con l’equipaggiamento
individuale e le armi di reparto, compiuto nell’arco di 12 giorni dai Ca.133 del XLIX grup-
po e dagli S.81 del 9° stormo caricando 8 uomini per viaggio.
In luglio un secondo ponte aereo venne attivato tra Assab e Dire Daua per alimentarvi
Capitolo quarto

