Page 482 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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lotta contro il brigantaggio, anche se poi non fu equiparata a una campagna di guerra vera
e propria, per ragioni di discutibile opportunità politica, fu “una delle lotte più aspre, diffi-
cili e pericolose” affrontata dall’Esercito . Il brigantaggio, per il Cesari, andava inquadrato
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nella reazione legittimistica alla rivoluzione unitaria ed era un fenomeno “essenzialmente
politico” alimentato dai Borboni e dalla Chiesa di Roma “come un’arma insidiosa per osta-
colare la fusione delle provincie meridionali napoletane al resto d’Italia”. A Roma il governo
Borbonico in esilio teneva le fila della reazione, organizzata da membri della famiglia reale
e da aristocratici meridionali reazionari, da ufficiali napoletani (Colonnello Luverà) e un
folto gruppo di rappresentanti del legittimismo europeo (Colonnello La Grange, generale
Tristany, Borjes, De Christen, marchese di Trazegnies) che sostenevano i principali capi
briganti (Chiavone, Crocco, Ninco-Nanco, Caruso, La Gala). Il brigantaggio poi venne
alimentato dagli errori commessi dai governi di allora che non diedero subito il dovu-
to peso alla difficilissima situazione in cui versavano le provincie dell’ex regno delle Due
Sicilie, affidandosi ad autorità civili, non al disopra delle parti, che “non furono sempre
all’altezza di si delicata missione”. I briganti, infatti, furono “favoriti spesso, più per paura
che per convinzione dalle popolazioni sulle quali mancati i soccorsi governativi, dovevano
per necessità appoggiarsi per vivere” . La situazione cambiò, secondo il Cesari, quando il
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governo decise di applicare lo stato d’assedio e affidò all’Esercito la completa direzione della
repressione che durò dieci anni, fino alla liberazione di Roma nel 1870 e la fuga del governo
in esilio dei Borboni dalla Città eterna.
Il Cesari non nascondeva le difficoltà nel ricostruire quel periodo storico per l’indispo-
nibilità delle fonti documentarie di parte borbonica e le lacune delle fonti italiane allora
disponibili , ma intendeva dare un primo quadro dello sforzo sostenuto dall’Esercito nella
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lotta al brigantaggio che, per lui, fu una vera e propria campagna di guerra alla stregua
delle guerre d’indipendenza, non a caso la chiamò la campagna contro la reazione nell’Italia
meridionale. In sostanza, ricostruì, secondo lo schema della Storia dei corpi, già utilizzato
sei anni prima dal capitano Massa , l’avvicendarsi dei reggimenti granatieri, fanteria, caval-
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leria, artiglieri e genio, dei battaglioni bersaglieri, dell’arma dei carabinieri nelle provincie
meridionali, accennando ai combattimenti sostenuti contro i briganti.
Non tutti i reggimenti dell’Esercito italiano presero alla campagna contro la reazione
nell’Italia meridionale, la maggior parte di essi, come aveva già ricordato il Mariotti, inviò in
quelle provincie uno dei propri battaglioni, generalmente il quarto od il quinto; dal 1860 al
47 Ibidem, p. 309, secondo il Cesari fu, secondo i canoni dell’epoca, una guerra senza gloria in cui “alla
vittoria finale che premia i valorosi, si sostituì una decrescente attività nelle operazioni, che spense nel
silenzio [...] la resistenza nemica”.
48 Ibid. p. 312.
49 Utilizzò presumibilmente per la prima volta le fonti dell’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato
Maggiore dell’Esercito.
50 Si veda sopra. Anche in questo caso il Cesari, come il Massa descriveva i fatti bellici, secondo uno de-
gli orientamenti della storiografia militare d’allora, elaborata nell’ambito dei servizi storici degli stati
maggiori europei, la storia dei corpi, appunto, intesa come la storia ordinativa e operativa dei singoli
reggimenti e battaglioni delle varie armi e loro specialità.