Page 489 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Appendice 1. LA storiogrAfiA miLitAre suL grAnde brigAntAggio post-unitArio 489
zona di Sora-Caserta, bloccarono i tentativi delle formazioni armate irregolari borboniche
di spezzare l’assedio delle truppe italiane a Gaeta. A quella prima fase subentrò la suc-
cessiva, diretta dalle luogotenenze e dei comandanti generali delle truppe nelle provincie
meridionali, con l’aumento delle forze nel Sud e la dislocazione di distaccamenti su tutto il
territorio napoletano. Tra i protagonisti nella repressione del brigantaggio, Cesari, in linea
con il suo orientamento liberal-democratico, apprezzava il Generale Cialdini il quale ben-
ché “autoritario nel comando, sapeva accoppiare la maggiore energia coi sistemi dell’antica
guerriglia spagnuola” . Il giudizio sul generale La Marmora era meno positivo, in quanto
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quell’ufficiale “considerava la guerra di repressione della reazione come un servizio di pub-
blica sicurezza, di durata transitoria e quindi non occorrente di particolari disposizioni tec-
niche e in ciò si uniformava ai concetti di tutti gli altri ministeri ed all’intonazione politica,
sociale e militare del governo al riguardo all’intera questione meridionale” . Più attento
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era stato il generale Govone che, per quanto riguardava l’equipaggiamento delle truppe,
pesante fino a 30 kg e inadatto alle operazioni contro il brigantaggio, aveva diramato appo-
site istruzioni per alleggerirle affinché potessero operare più agilmente nei territori boscosi
e montuosi in cui si muovevano i briganti .
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Se la riposta militare contro il brigantaggio della prima fase fu l’impiego di robuste co-
lonne mobili, nella seconda fase, il governo cercò di combattere la guerriglia organizzando
un controllo capillare del territorio. Questo fu progressivamente raggiunto istituendo, dal
1862 al 1870, comandi di zone e sottozone militari, creati in tutte le provincie del mez-
zogiorno continentale . Proprio il controllo capillare del territorio unito ad un oculato
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impiego della fanteria rappresentava il sistema per fronteggiare la guerriglia. Il Cesari, dal
punto di vista tattico, riteneva molto più redditizio impiegare “grossi reparti di fanteria e
di formare con essi colonne volanti” invece che impiegare analoghe formazioni di caval-
leria “con l’intendimento di non allontanare le fanterie dai paesi e di battere le campagne
con armi a cavallo” il cui impiego si era dimostrato inadatto per il terreno montuoso e
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boscoso delle provincie meridionali. La costituzione nel 1867 del Comando generale per la
repressione del brigantaggio nelle provincie di Terra di Lavoro, Aquila, Molise, Benevento,
Salerno, Avellino e Basilicata, al cui vertice fu posto il generale Emilio Pallavicini di Priola,
rappresentò il colpo di grazia per il Brigantaggio già declinante. Il suo concetto operativo si
fondava sull’assioma che “per il passato le bande numerose e baldanzose si imponevano alle
popolazioni e queste dovevano per necessità assecondarle; oggi invece i numerosi banditi
sono isolati e il concorso di tutti può facilmente sopprimerli senza timore di rappresaglie” .
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Utilizzando le informazioni dei manutengoli e parenti dei banditi che dietro premi in
denaro e protezione decidevano di collaborare e una “saggia dislocazione di truppe nei
85 Ibidem, p. 136.
86 Ibidem, p. 83.
87 Ibidem.
88 Ibid., pp. 128-134.
89 Ibid., p. 138.
90 Ibid., p. 162.