Page 497 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Appendice 1. LA storiogrAfiA miLitAre suL grAnde brigAntAggio post-unitArio 497
chiave essenzialmente sociale che vide il brigantaggio
“come manifestazione estrema, armata, di un movimento rivendicativo e di protesta che
si eleva fino a rozze forme di lotta di classe, da parte di una classe contadina arretrata, nel
contesto di una società arretrata, con forti sopravvivenze feudali, […] come la sola guerra
che la classe contadina riesce a condurre quando lotta da sola: la guerriglia priva di direzione
centralizzata, per obbiettivi limitati e aspetti anarcoidi” .
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L’Esercito, in particolare, e tutte le altre forze incaricate di combattere il brigantaggio
sono state viste complessivamente quali strumenti di repressione, di una repressione spie-
tata voluta dalla Destra cavouriana che, secondo Molfese, travolse anche la possibile alter-
nativa, prospettata dalla sinistra democratica-autonomista rappresentata da Liborio Ro-
mano . Il giudizio sull’Esercito nell’opera di Molfese non si riduce solo a questo, nel suo
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volume il discorso è sicuramente più articolato. Per esempio la figura del generale Cialdini
- che interruppe la fallimentare politica di riconciliazione con ex borbonici e clericali delle
luogotenenze e iniziò un’aperta collaborazione con la sinistra democratica e gli ex garibal-
dini, arruolando e impiegando in funzioni di controguerriglia la Guardia nazionale mobile,
formata proprio da ex camice rosse - fu sicuramente positivo . Cialdini inoltre, secondo
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Molfese, cercò di evitare, con tutte le forze a disposizione, che la guerriglia nelle campagne
e le insurrezioni filoborboniche nei piccoli centri raggiungessero i maggiori centri abitati,
provocando una insurrezione generale. Adottò una tattica difensiva che consisteva “nel pre-
sidiare in forza i capoluoghi, irraggiando le colonne mobili dove era necessario”. Costituì le
zone militari e scatenando delle feroci rappresaglie sui paesi che avevano fraternizzato con
le bande brigantesche. Fu proprio questa repressione spietata che provocò “un mutamento
della condotta della guerriglia, suggerito evidentemente dalla necessità, che i capi delle ban-
de avvertivano, di risparmiare le popolazioni” per non perdere il loro appoggio, le bande,
infatti, abbandonarono la tecnica di occupare i paesi .
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Un quadro più articolato sulle operazioni contro il brigantaggio venne dato da Molfese
nella seconda parte dell’opera, nel capitolo dedicato alla repressione . Lo studioso, come
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gli altri prima di lui che si erano occupati del tema, ribadì che l’Esercito italiano era assolu-
tamente impreparato a quel tipo di guerra. Le operazioni di controguerriglia specialmente
nei primi tempi vennero condotte “quasi alla cieca, oppure con l’ausilio infido delle guide
locali, il che fu causa non soltanto di molti insuccessi, ma anche di dolorosi rovesci e tragici
episodi”. La fanteria era addestrata secondo un rigido formalismo, con un’organizzazio-
135 F. MolFeSe, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, op. cit., p. 342. Non possiamo ignorare le suggestive
riflessione sul brigantaggio, quale “cupa, disperata, nera epopea” del mondo contadino, raccontata da
Carlo Levi nel 1945 in Cristo si è fermato a Eboli, Einaudi, 2010, pp. 120-129 (prima edizione 1945).
136 F. MolFeSe, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, op. cit., pp. 67-70, 337.
137 Ibid., pp. 84-97.
138 Ibid., p. 98. Molfese fece esplicito riferimento al caso di Pontelandolfo dove “un battaglione di ber-
saglieri dette alle fiamme l’intero paese, fucilando chiunque vi fosse trovato e arrestando più do 400
persone”.
139 Ibid., cap. I, la svolta della repressione, 1. L’Esercito protagonista della repressione. pp.177-186.