Page 502 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
P. 502
502 L’esercito aLLa macchia. controguerrigLia itaLiana 1860-1943
all’altezza della situazione, fu invece carente l’attività informativa e quella psicologica verso
le popolazioni, elementi fondamentali delle dottrine moderne di controguerriglia, quest’ul-
tima “fu del tutto assente e ben poco si fece per conquistare il favore popolare”. Gli ufficiali
non erano preparati a combattere una controguerriglia né dal lato psicologico, per i loro
pregiudizi di classe, “provenivano quasi esclusivamente dal ceto aristocratico permeato da
idee feudali ed antipopolari”, ne dal punto di vista tecnico-militare “istruiti all’ordine rigi-
do delle colonne di attacco, rifiutavano l’ordine sparso” , nonostante esistesse un ampia
160
letteratura militare europea (von Decker nel 1822, Duhesme 1829, von Brandt nel 1837,
Rudolf nel 1847, Radetzky le sue istruzioni da campo) e italiana di matrice risorgimentale
(Carlo Bianco) relativa alla guerra per bande e alla guerra popolare.
Nel 1978 Rochat e Massobrio nella loro Breve storia dell’Esercito italiano accennava-
161
no alla repressione del brigantaggio post-unitario che ricadde completamente sull’Esercito
“con poteri crescenti e sostanzialmente illimitati, garantiti dallo stato d’assedio, da leggi
eccezionali contro la guerriglia contadina [...]”. Per gli autori, che fecero riferimenti agli
studi di Molfese e de Jaco , “la repressione fu condotta con una brutalità difficilmente
162
immaginabile [...] aggravata dalla capacità del governo e dei comandanti di capire le radici
sociali della ribellione”, le truppe italiane operarono in un territorio ostile, senza un ade-
guato apparato logistico-sanitario, carte geografiche e soprattutto “senza una vera dottrina
di impiego che andasse oltre l’uso sistematico del terrore”. Le bande condussero un’abile
guerriglia, ma alla fine furono sconfitte perché “si dimostrarono incapaci di reagire politi-
camente con la conservazione a ogni costo dei loro legami con la popolazione contadina e
scelsero la via tradizionale del brigantaggio vero e proprio”, scivolando progressivamente
nella delinquenza tradizionale.
Il ruolo della giustizia militare è stato affrontato da Roberto Martucci in un suo saggio
del 1980. L’autore inquadrava la legislazione speciale, imposta nel mezzogiorno per debel-
lare il brigantaggio come un’aperta violazione delle norme statutarie (art. 71 dello statuto
albertino). In sostanza quella lotta “ebbe un peso enorme per lo Stato unitario influenzando
la sua produzione normativa, favorendo l’emarginazione dei democratici, incidendo sulla
costituzione materiale del paese nel senso di un crescente peso dell’esecutivo sul legislativo
e sull’ordine giudiziario” . I militari, secondo Martucci, furono lo strumento che permise
163
al governo della Destra moderata di esautorare la magistratura civile meridionale, ritenuta
troppo debole verso il brigantaggio e in alcuni casi apertamente filo-borbonica, e di sostitu-
irla con la magistratura militare che scatenò una durissima repressione che di liberale aveva
ben poco . Prima lo stato d’assedio poi la legge Pica del 15 agosto 1863 e infine la legge
164
Peruzzi del 7 febbraio 1864, trasferì la competenza sul giudizio dei reati di brigantaggio ai
160 Ibidem.
161 G. rochat e G. MaSSoBrio, Breve storia dell’Esercito italiano dal 1861 al 1943, Torino, Einaudi,
1978, pp. 49-50.
162 A. de Jaco, Il brigantaggio meridionale. Cronaca inedita dell’Unità d’Italia, op. cit., p. 20.
163 R. Martucci, Emergenza e tutela dell’ordine pubblico nell’Italia liberale: regime eccezionale e leggi sulla
repressione dei reati di brigantaggio (1861-1865), Bologna, il Mulino, 1980, p. 215.
164 Ibid., pp. 9-24, 79-91.