Page 505 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Appendice 1. LA storiogrAfiA miLitAre suL grAnde brigAntAggio post-unitArio 505
sottolineando come la prima fase fosse caratterizzata dalla “saldatura fra insorgenza sociale
e riscossa legittimistica” e dal ruolo del legittimismo borbonico e straniero . In sostanza
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egli inquadrava le insorgenze e la guerriglia nelle provincie meridionali come un fenomeno
di reazione che vedeva la partecipazione di molti ex militari borbonici e aristocratici legitti-
misti europei all’interno delle bande, sostenute dal clero, dall’aristocrazia e della burocrazia
borbonica spodestata e dai numerosi comitati reazionari che le rifornivano di armi e dena-
ro. Anche il ruolo della borghesia agraria meridionale verso il brigantaggio , era ambiguo,
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spesso si tramutava, per paura, interesse personale, o scelta politica, in un vero e proprio
sostegno logistico, attraverso il rifornimento di viveri, cavalli e altro. L’Esercito, su cui
ricadde tutto il peso della repressione, “dovette affrontare una vera e propria guerra civile
contro masse d’insorti che rifiutavano il regime unitario e grosse formazioni armate che
lo combattevano” . La sua risposta operativa di fronte a quell’emergenza è al centro del
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lavoro di Tuccari. L’autore, come molti altri studiosi prima di lui, partiva dal presupposto
dell’impreparazione dell’Esercito italiano a quel tipo di guerra.
Dominato dalla dottrina francese che concepiva l’attacco come urto travolgente di suc-
cessive colonne di battaglione, era adatto allo scontro frontale ma non alla manovra e
“meno ancora ad azioni di controguerriglia”. La dottrina si rispecchiava sugli ordinamenti,
la struttura organica delle unità di fanteria “era massiccia, compatta, uniforme (mancanza
di specializzati) e perciò poco idonea ad un impiego frazionato delle forze” , i battaglioni
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erano costituiti da 6 compagnie di 150 uomini ciascuna per un totale di 900 uomini, seb-
bene nel 1862 (riforma Petitti) venissero ridotti a 4 compagnie. La cavalleria era considera-
ta, tramite la carica, la principale forza d’urto, veniva quindi poco utilizzata per l’attività ri-
cognitiva. L’addestramento non prevedeva particolari norme per il combattimento in mon-
tagna e nei boschi, era vincolato a rigidi formalismi, i bersaglieri, per Tuccari come prima
per il Cesari e lo Scala, furono la sola specialità che si dimostrò adatta alla controguerriglia,
“addestrati a manovrare in cacciatori e a sfruttare il terreno, costituirono gli avversari più
temuti dalle bande”, ma il numero dei battaglioni impiegati era esiguo in confronto alla
vastità del territorio delle provincie meridionali. Ciò che inoltre difettava nell’organizzazio-
denze dell’amministrazione (cfr. si veda sopra C. CeSari, Il Brigantaggio e l’opera dell’esercito italiano,
op. cit., p. 81-82).
177 L. tuccari, Memorie sui principali aspetti tecnico-operativi della lotta al brigantaggio, op. cit. pp. 204.
178 L. tuccari, Brigantaggio post-unitario: il legittimismo europeo a sostegno della reazione napoletana, in
“Studi storico-militari 1991”, Roma, Stato Maggiore Esercito- Ufficio storico, 1993, pp. 279-292.
179 L. tuccari, Memorie sui principali aspetti tecnico-operativi della lotta al brigantaggio, op. cit. p. 205.
180 Ibid., p. 210.
181 Ibid., p. 211. II Tuccari fa riferimento all’ordinamento del generale Fanti, formalizzato nel Regio De-
creto del 24 gennaio 1861. Fanti creò una nuova struttura militare, integrando nello scheletro del pre-
cedente esercito sardo le forze reclutate nei territori acquisiti all’atto della proclamazione del Regno
d’Italia. L’Armata sarda fu aumentata di 6 brigate di fanteria, 20 battaglioni dei bersaglieri, 30 bat-
terie di artiglieria, e 8 gruppi di squadroni di cavalleria; cfr. F. SteFani, La storia della dottrina e degli
ordinamenti dell’Esercito italiano, Vol. I, Dall’Esercito piemontese all’Esercito di Vittorio Veneto, Roma
1984, pp. 166-172.