Page 507 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Appendice 1. LA storiogrAfiA miLitAre suL grAnde brigAntAggio post-unitArio 507
disponibilità di forze, utilizzando le colonne mobili, di livello organico variabile, che pe-
riodicamente battevano determinate zone particolarmente infestate, “in funzione essen-
zialmente preventiva, intesa cioè a dimostrare alle popolazioni in rivolta la forza del nuovo
stato unitario” , ma senza riuscire effettivamente a limitare l’estendersi del brigantaggio
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che anzi raggiunse livelli allarmanti, assumendo il ruolo di forza trainante delle insurrezioni
popolari. La svolta si ebbe con il generale Enrico Cialdini (12 luglio-31 ottobre 1861) che
riunì nelle proprie mani le funzioni di luogotenente generale per le provincie napoletane e
di comandante del VI Dipartimento. Rese operativa una rete di comandi militari di zona
destinati alla lotta al brigantaggio, già predisposta da Durando, a cui faceva capo una rete di
presidi fissi (distaccamenti) nei maggiori centri cittadini e di colonne mobili per il controllo
delle campagne ; riorganizzò inoltre la Guardia nazionale, costituendo 69 compagnie di
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Guardia nazionale mobile, reclutate su base volontaria (privilegiando gli ex garibaldini),
poste alle dipendenze dei comandi militari territoriali e impiegate in operazioni insieme
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a reparti dell’Esercito. Il dispositivo di Cialdini significò l’adozione di una tattica aggressiva
che spezzò la saldatura tra insurrezione filoborbonica e guerriglia. Per Tuccari, come per
Molfese, “questi provvedimenti riescono a contenere l’espansione del grande brigantaggio
e costringono le bande ad abbandonare i paesi e trasferirsi in montagna” . Il generale La
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Marmora (novembre 1861 - settembre 1864) confermando l’organizzazione militare creata
da Cialdini, incrementò il numero delle zone militari e le frazionò a loro volta in sottozo-
ne, al fine di un controllo più capillare del territorio, istituendo inoltre “basi operative di
colonne mobili anche in piccoli centri rurali e masserie isolate con il criterio di dislocare le
unità d’impiego al centro delle aree più minacciate” . Le colonne spesso erano suddivise
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in piccoli distaccamenti al fine di perlustrare più parti di una stessa zona o assumevano
l’aspetto di robuste formazioni, anche interarma, quando dovevano inseguire bande di una
certa consistenza. Inizialmente l’organizzazione di La Marmora, più capillare e dispendiosa,
non fu sostenuta da un adeguato supporto di forze, essendo quindi “costretta a subire l’ini-
ziativa delle grosse bande che infliggono dure perdite ai reparti militari”: solo con l’arrivo
di rinforzi, i comandi ripresero l’iniziativa.
Parallelamente all’organizzazione operativa e di comando si sviluppava la dottrina d’im-
186 Ibid., p. 213.
187 Il generale Cialdini dispose la costituzione di 3 comandi di zona militare, rispettivamente di Caser-
ta, Nola-Avellino e di Gaeta (già Comando truppe alla frontiera pontificia), quest’ultimo con giuri-
sdizione sulla frontiera pontificia. Il generale La Marmora aumentò il numero dei comandi di zona
militare; furono, infatti, costituiti i nuovi comandi dell’Aquila, Benevento-Molise, Melfi-Lacedonia-
Bovino, Cosenza e della Colonna mobile di Spinazzola (Bari), ulteriormente ripartiti in comandi di
sottozone militari (Campobasso, Castellammare, Benevento, Bisacca, Cassino, Lacedonia, Sora, Va-
sto-Lanciano).
188 Circolare n. 29 del VI Gran Comando di dipartimento in data 4 agosto 1861, in auSSMe, Fondo
G-11, Brigantaggio, busta 6, fascicolo Guardia nazionale, cc. 1622-1624.
189 L. tuccari, Memorie sui principali aspetti tecnico-operativi della lotta al brigantaggio, op. cit. p. 215;
L. tuccari, Il Brigantaggio nelle provincie meridionali dopo l’Unità d’Italia, op. cit., pp. 115-121.
190 L. tuccari, Memorie sui principali aspetti tecnico-operativi della lotta al brigantaggio, op. cit. p. 217.