Page 511 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Appendice 1. LA storiogrAfiA miLitAre suL grAnde brigAntAggio post-unitArio 511
prima si organizzava in grandi bande, che terrorizzavano le campagne, attaccando i piccoli
paesi e i distaccamenti di forza minore, nella seconda fase, successiva alla prima, quando le
grandi bande erano state sconfitte, i briganti agivano in piccoli gruppi, con l’unico scopo
di sfuggire alla cattura. Nella prima fase, che allora corrispondeva alla situazione nella pro-
vincia di Catanzaro, occorreva combattere i briganti “con forti distaccamenti superiori in
numero per non mettere i banditi nella condizione di poter vantare successi sulle truppe”,
nella seconda, corrispondente alla situazione di Cosenza, bastavano piccoli drappelli. Nel
servizio di perlustrazione, le colonne militari (di circa 30 uomini per la provincia di Ca-
tanzaro infestata da grandi bande e 15 per la provincia di Cosenza percorsa solo da piccole
bande) dovevano stare sempre in movimento, rastrellando continuamente tutto il territorio
e quando una banda di briganti veniva avvistata da una delle colonne, tutte le altre, oppor-
tunamente avvisate dal dispositivo che per primo aveva intercettato i briganti, dovevano
unirsi nell’inseguimento con lo scopo di accerchiarli ed annientarli completamente. Tre
erano le operazioni che facilitavano la distruzione di una banda: l’inseguimento, la sorpresa
e gli appiattimenti. L’inseguimento doveva iniziare al primo avvistamento e portare la banda
inseguita verso altre truppe, la sorpresa doveva esser un’operazione in cui, grazie all’attività
informativa, si raccoglievano notizie della presenza di briganti in una determinata località
che si attaccava in forze, in modo da coglierli impreparati, l’appiattimento, infine, che offri-
va, secondo Pallavicini, grandi possibilità di successo, era l’agguato, da prepararsi di notte
in qualche punto di passaggio in campagna, in modo da intercettare le bande. Pallavicini
prendeva in esame anche la possibilità che durante quelle operazioni una colonna si tro-
vasse involontariamente circondata da una formazione molto più numerosa, “[...] in simili
circostanze anziché sbandarsi, anziché cercare una posizione favorevole con una troppo
sollecita ritirata, occorre conservare l’ordine nelle file e disporsi nel modo più acconcio per
essere garantiti contro il fuoco, lasciando avvicinare i briganti a breve distanza prima di fare
spari” . Il concorso della Guardia nazionale, per la conoscenza che questa aveva dei luoghi
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e delle persone, secondo Pallavicini era fondamentale, ma il suo aiuto doveva essere richie-
sto solo in casi particolari, senza gravare troppo su quella milizia composta “di artigiani, di
padri di famiglia di gente infine che deve al lavoro la propria sussistenza” , eventualmente
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si poteva richiedere ai sindaci una lista dei militi atti a prestare servizio da richiamare all’oc-
correnza. Il servizio di polizia, inteso come il complesso dell’attività informativa ed investi-
gativa, era importantissimo poiché il brigantaggio si combatteva “più con misure di polizia
che con le perlustrazioni, appiattimenti ecc. o meglio, l’attività dei movimenti militari nelle
circostanze presenti, per divenire proficua, deve essere avvalorata dallo spionaggio e dalla
pressione da esercitarsi sui manutengoli” .
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Il generale Pallavicini riteneva fondamentale e possibile, in quel momento storico, re-
cidere il legame tra bande e manutengoli - e per manutengoli intendeva quei settori della
204 “Istruzione e norme per la repressione del brigantaggio nelle Calabrie”, - op. cit., p. 9, punto 28.
205 Ibid., p. 11, punto 36.
206 Ibid., p. 13, punto 44.