Page 513 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Appendice 1. LA storiogrAfiA miLitAre suL grAnde brigAntAggio post-unitArio 513
manutengoli, a cui era stato costretto, lo avrebbe privato di uno dei principali strumenti di
lotta e, tra l’altro, già sperimentato nella zona di Melfi. L’esperienza calabrese del generale
Pallavicini non si chiuse quindi in modo completamente positivo, ma fu un’altra lezione
appresa che lo portò alla successiva e conclusiva regolamentazione della normativa sulla
controguerriglia, quando assunse il Comando generale delle truppe per la repressione del
brigantaggio.
Con nota del 25 settembre 1867 , il comandante della Divisione militare territoriale
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di Napoli assunse l’alta direzione delle operazioni militari nei territori delle divisioni mi-
litari territoriali di Chieti, Bari, Salerno e Catanzaro, in pratica in tutte le provincie meri-
dionali. Fu, quindi, costituito, alle dipendenze della stessa Divisione di Napoli, il Comando
generale delle truppe per la repressione del brigantaggio nelle provincie di Terra di Lavoro,
Aquila, Molise, Benevento, Salerno, Avellino e Basilicata, da cui dipendevano i comandi di
zona militare di Caserta, l’Aquila, Benevento e Campobasso, ulteriormente ripartiti in co-
mandi di sottozone militari, scompartimenti, distaccamenti e, infine, drappelli . A capo
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del nuovo comando, fino al suo scioglimento, fu posto il generale Pallavicini che contem-
poraneamente ricopriva, interinalmente, la carica di comandante della Divisione militare
territoriale di Salerno. Obiettivo del nuovo comando generale, la cui sede fu stabilita a
Caserta, era quello di distruggere le bande capeggiate dai briganti Fuoco, Pace, Ciccone,
Fontana, Cedrone Pantamello e altre minori a loro affiliate che imperversano lungo l’Ap-
pennino centro-meridionale, sconfinando tra una provincia e l’altra. L’azione del generale
Pallavicini, con suo vivo dispiacere, non si svolgeva più in un contesto giuridico ecceziona-
le, in quanto le leggi Pica e Peruzzi avevano cessato completamente i loro effetti a partire
dal 1° gennaio 1866. Il generale, già alla fine del suo mandato in Calabria, aveva espresso
al comandante del VI Gran Comando di dipartimento, generale Pomarè, vive perplessità
sulla cessazione degli effetti delle leggi speciali che, se pur non effettivamente rispondenti
alle esigenze della lotta ai manutengoli, erano un sicuro baluardo contro il brigantaggio .
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Egli, infatti, suggeriva di sostituire con una norma che prevedesse la deportazione “il solo
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mezzo capace di prestare un efficace appoggio, facilitando la distruzione degli attuali bri-
ganti”. Le perplessità di Pallavicini sulla cessazione degli effetti della legge Pica, condivise
212 Giornale militare 1867, nota n.139, 25 settembre 1867, Prescrizione per un’unica direzione delle opera-
zioni militari contro il brigantaggio nelle provincie meridionali e per un unico comando delle fortezze del
quadrilatero, p. 578.
213 L. tuccari, Memorie sui principali aspetti tecnico-operativi della lotta al brigantaggio, op. cit., pp. 229-
232.
214 Lettera, in data 14 novembre 1864, del comandante della Divisione militare territoriale di Catanza-
ro al comandante generale del VI Gran Comando di Dipartimento, oggetto: legge Pica; in auSSMe,
Fondo G-11 Brigantaggio, busta 107, fascicolo 1, c. 99, pubblicata in M. G. Greco, Il ruolo e la fun-
zione dell’Esercito nella lotta al brigantaggio, -op. cit., documento 2, pp. 175-176.
215 La proposta di prevedere la deportazione a tempo o a vita per i colpevoli di reati di brigantaggio, visto
come atto di clemenza in sostituzione delle fucilazione, era affrontato nel corso del dibattito parla-
mentare per l’approvazione della legge Pica, cfr. R. Martucci, Emergenza e tutela dell’ordine pubblico
nell’Italia liberale, -op. cit., pp. 103-107. Nel 1862 vi era stata anche una proposta fatta nel 1862 dal
generale Giuseppe Avezzana, deputato e uomo politico della sinistra democratica.