Page 525 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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Appendice 1. LA storiogrAfiA miLitAre suL grAnde brigAntAggio post-unitArio 525
come confessa lo stesso Bianco, era efficace solo verso le grandi bande e nel caso di un
invasione che partisse dai territori pontifici. L’autore difendeva l’operato del generale La
Marmora che aveva lasciato ampio decentramento e autonomia ai generali comandanti
delle divisioni militari territoriali e delle zone militari , ma per vincere il brigantaggio
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non bastava la sola azione militare, era assolutamente necessario realizzare una politica di
riforme sociali, come per esempio i lavori delle ferrovie adriatiche, che avrebbero avvicinato
le popolazioni meridionali al governo. Non era certo un concetto nuovo, la novità casomai
era nella stretta connessione che doveva esistere tra azione militare, controllo del territorio
e riforme sociali. Il Botti nel suo lavoro ha tralasciato le opere di altri due ufficiali le cui
testimonianze si affiancano a quella di Alessandro Bianco, ufficiale di Stato Maggiore, in
servizio presso il Comando truppe alla frontiera pontificia, e in un certo senso la comple-
tano poiché appartenevano alla categoria degli ufficiali inferiori d’arma, cioè i sottotenenti,
luogotenenti e capitani che, al comando dei minori distaccamenti, sostennero le operazioni
di controguerriglia. Questi ufficiali sono Giuseppe Bourelly, luogotenente dei bersaglieri
che dal 1862 al 1865 prestò servizio nel XXXVI Battaglione del 5° Reggimento Bersaglieri
a Rionero e pubblicò Il brigantaggio nelle zone militari di Melfi e Lacedonia dal 1860 al
1865 , e Angelo De Witt, luogotenente del 36° Reggimento fanteria, che pubblicò Storia
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politico-militare del brigantaggio nelle provincie meridionali d’Italia , relativa alle operazio-
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ni di controguerriglia nel Molise.
Il Bourelly, oltre a descrivere le operazioni, ha lasciato anche interessanti riflessioni a
carattere generale sulla guerriglia e controguerriglia in Basilicata . L’ufficiale dei bersaglie-
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ri descriveva i briganti come combattenti coraggiosi, anche se sprovvisti del tradizionale
onore militare, essi non avevano nulla da invidiare ai “partigiani agguerriti che funestarono
le Spagne in epoche a noi vicine”, esperti nell’applicare tutte le tecniche della guerriglia -
specialmente nel tendere imboscate e assalire, per annientarli, piccoli distaccamenti isolati
- non abbandonavano i loro feriti e spesso si uccidevano quando si consideravano perduti.
Le truppe inviate nel Sud, pari a un quarto della forza complessiva, nonostante potesse-
ro sembrare una quantità spropositata erano, per Bourelly, una necessità per limitare un
brigantaggio che, senza quella presenza si sarebbe trasformato in un’insurrezione generale,
specialmente nel 1861. La distribuzione delle truppe sul territorio non rispondeva solo a
una logica militare, ma spesso era dettata da pressioni politiche che toglievano efficacia
al dispositivo di controllo, così come i periodi di comando, per le divisioni territoriali,
zone e sottozone, erano troppo brevi, gli ufficiali superiori e i generali non riuscivano a
286 Ibid., pp.262-266.
287 G. Bourelly, Il brigantaggio dal 1860 al 1865 nelle zone militari di Melfi e Lacedonia, Napoli, Di Pa-
squale, 1865, (ristampato recentemente: Il brigantaggio dal 1860 al 1865, Venosa, Osanna Venosa,
1987). Egli prese anche alle operazioni dirette del Pallavicini di cui era un grande estimatore.
288 a. de witt, Storia politico-militare del brigantaggio nelle province meridionali d’Italia, Firenze, Cop-
pino, 1884, (ristampa capone editore, Lecce, 2007). Secondo l’Annuario ufficiale dell’Esercito italiano
del 1863-1865, Angiolo De Witt, nominato luogotenente con anzianità nel 23 marzo 1863, dal 24
marzo 1864 passò in aspettativa, con anzianità sospesa.
289 G. Bourelly, Il brigantaggio dal 1860 al 1865, Venosa, Osanna Venosa, 1987, pp. 85-115.