Page 526 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
P. 526
526 L’esercito aLLa macchia. controguerrigLia itaLiana 1860-1943
mettere in pratica l’esperienza accumulata poiché, per effetto del sistema di rotazione con-
tinua negli incarichi e nelle carriere voluto dal ministero della guerra, venivano trasferiti
proprio nel momento in cui iniziavano ad avere una visione completa della situazione
ed erano finalmente in grado di attuare efficaci operazioni di controguerriglia. In questo
senso Bourelly giudicava positivamente il sistema adottato dal generale La Marmora, allora
comandante del VI Dipartimento militare, che lasciava larga autonomia ai comandanti di
divisione e zona militare nella lotta al brigantaggio, ciò che invece criticava era la mancanza
di un efficace servizio informazioni per lo meno a livello di comando intermedio, neces-
sario per combattere efficacemente il brigantaggio. Gli ufficiali, comandanti dei minori
distaccamenti, dovevano provvedere da sé a organizzare tale servizio, con metodi, come
l’internamento di sospetti e parenti dei briganti, la limitazione della libera circolazione e
del trasporto di viveri in campagna da parte dei contadini, sicuramente efficaci “ma illegali
e non permessi a un soldato che per primo deve dare esempio di rispetto e di ubbidienza
alle leggi” . Quel dilemma, tra efficacia del metodo repressivo e sua palese illegalità, era
290
stato risolto, secondo Bourelly, dalla legge Pica che permetteva agli ufficiali di “agire energi-
camente contro malfattori e osservare scrupolosamente le leggi” . Del resto in quella fase
291
del brigantaggio in Basilicata, in cui la guerriglia era condotta non più da grandi bande a
cavallo ma da numerosi piccoli gruppi di briganti che spesso sfuggivano alle perlustrazioni
della truppa, era necessario attivare un efficace servizio investigativo al fine di individuare i
loro nascondigli. In sostanza bisognava cercare di eliminare il sostegno che il mondo rurale
dava al brigantaggio. Parallelamente all’attività informativa e investigativa andava condotta
quella militare, attraverso rastrellamenti effettuati da colonne mobili, possibilmente miste,
in quanto “si combinava l’urto della cavalleria con il fuoco fanteria, onde quando la fante-
ria era giunta a tiro, se la cavalleria incalzava la banda con audacia e slancio, la disfatta era
assicurata” . A tal proposito Bourelly ricordava la proposta del generale Griffini di cre-
293
292
are un corpo di bersaglieri a cavallo che trovò spazio anche sulla “Rivista militare” nel 1863
dove, a firma di un anonimo autore, fu pubblicato un articolo relativo alla costituzione di
unita di bersaglieri a cavallo, armati di carabina e sciabola e montati su piccoli cavalli meri-
dionali o sardi, molto simili ai Chasseurs d’Afrique francesi, impiegati in Algeria . Bourelly,
294
290 Ibid., p. 104.
291 Ibid., p. 106: “[...] Perciò prima della legge Pica era un affare serio adempiere al proprio dovere, stret-
ti tra l’obbligo di agire energicamente contro malfattori e osservare scrupolosamente le leggi. Onde
succedevano inciampi, incertezze ad ogni mezzo militare che si voleva porre in esecuzione. Infatti si
doveva imprigionare tutti i sospetti manutengoli, ma non si doveva violare il domicilio; proibire il
legnare nei boschi, ma concedere eccezioni agli onesti, vietare di esportare viveri in campagna, ma si
doveva permettere ai contadini che andavano a lavorare si portassero il cibo: proibire che uscissero
persone del paese di notte, ma si dovevano concedere esenzioni a quelli che avevano affari urgenti” .
292 Ibid., p. 112.
293 Il luogotenente generale Paolo Griffini era membro del comitato di cavalleria del Ministero della
guerra.
294 C.Z., Bersaglieri a cavallo, in “Rivista militare italiana”, pp. 264-270, Anno XII- Vol. II -marzo 1863.
Sulla questione si veda F. Botti, Il pensiero militare e navale italiano, op. cit., vol. II, op. cit., p. 177.
Sui cacciatori d’Africa cfr. tenente colonnello G. Ferrari, Una memoria inedita di Alfonso Lamarmora