Page 54 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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54 l’eserCito alla maCChia. Controguerriglia italiana 1860-1943
stato. In particolare, l’amministrazione civile, rappresentata dal ministro degli Interni, dai
prefetti e dalle forze da questi dipendenti: Guardia nazionale e Corpo delle guardie di
pubblica sicurezza , benché non fossero in grado da sole di fronteggiare militarmente
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la guerriglia, non accettarono di buon grado quella effettiva subordinazione all’autorità
dell’esercito. Il ministro degli Interni Ubaldino Peruzzi, coadiuvato dal segretario generale
del ministero Silvio Spaventa , avviò un’opera di profonda riorganizzazione dell’ammini-
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strazione nel Sud, attraverso una radicale epurazione degli elementi della passata gestione
borbonica, soprattutto nei ranghi della polizia.
Nel dicembre 1862 i due si fecero fautori di un piano più ampio, il cosiddetto “Piano
Spaventa” che, attraverso provvedimenti eccezionali approvati dal parlamento - la rior-
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ganizzazione della Guardia nazionale, l’istituzione di tribunali speciali, l’avvio di rigorose
misure di controllo preventivo di polizia e soprattutto il trasferimento del generale La Mar-
mora lontano dal VI Gran comando di dipartimento - “non significava la rinunzia a poteri
eccezionali, bensì il trasferimento del loro esercizio alle autorità politiche” . In una lunga
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lettera del 21 luglio 1863, indirizzata da La Marmora al ministro della Guerra, il generale
segnalava le disposizioni emanate dal prefetto di Foggia, in contrasto con le prescrizioni
del VI Gran Comando, lamentando come spesso i funzionari civili del governo agissero
in modo autonomo, causando una “mancanza di unità nelle disposizioni fondamentali”,
nonostante lo stesso La Marmora, nella sua doppia funzione di comandante militare e
prefetto di Napoli, avesse “la superiore direzione delle operazioni contro il brigantaggio” .
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Egli segnalava come spesso prefetti, sottoprefetti e ufficiali superiori delle guardie nazionali,
tra cui il famigerato Fumel, avessero arrestato, processato e fucilato sospetti, senza rispettare
le numerose circolari, emanate dallo stesso generale, che prescrivano l’applicazione della
suprema pena, solo in caso in cui i briganti venissero “catturati in flagranza di brigantag-
gio, armata mano e facenti resistenza alle truppe”. Il generale condannava quella eccessiva
severità in quanto l’accusa di manutengolismo, in quel contesto di aspri contrasti civili, se
non inquadrata in una determinata pianificazione della controguerriglia di esclusiva com-
petenza dei comandi militari, in mano alle autorità politiche, poteva divenire “strumento
di privata vendetta”. L’accusa di La Marmora in questo caso era evidente e non si limitava
a rivendicare le necessarie competenze tecnico-militari: l’autorità militare nelle province
meridionali, pur nell’estrema severità dell’applicazione delle norme anti-brigantaggio, era e
116 Il corpo delle guardie di pubblica sicurezza era in via di formazione e rappresentava, anche in termi-
ni numerici, una forza assolutamente inadeguata a fronteggiare il brigantaggio, cfr. luiGi tuccari, il
Brigantaggio nelle provincie meridionali dopo l’Unità d’Italia, op. cit. p. 201.
117 paolo roMano, Silvio Spaventa-biografia politica, Bari, Laterza, 1942; pio coStantini, Silvio Spa-
venta e la repressione del Brigantaggio, Pescara, ed. Attraverso l’Abruzzo, 1960. Patriota abruzzese fu un
rappresentante di quei gruppi liberali moderati, in esilio dopo il 1848 e rientrati nel Sud nel 1861.
118 Franco MolFeSe, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Milano 1972 (prima edizione 1964), Feltrinel-
li, pp. 227-229.
119 daniela adorni, Il Brigantaggio, op. cit. pp. 302-303.
120 Lettera n. 567, in data 21 luglio 1863, del VI Gran Comando militare, in auSSMe, Fondo G-13 Car-
teggio confidenziale del ministro, busta 2, fascicolo 82.
Capitolo primo