Page 55 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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GuerriGlia e controGuerriGlia nell’italia meridionale. il Grande briGantaGGio post-unitario (1860-1870) 55
doveva rimanere imparziale, l’autorità politica invece, e con questo intendeva prefetti, guar-
die nazionali e amministrazioni comunali, non era immune dalle influenze locali, in alcuni
casi, come nelle ultime due, ne era espressione e quindi non poteva dare quella garanzia di
imparzialità necessaria alla giusta applicazione delle norme. Era una visione dello strumen-
to militare in parte corporativa, propria di un uomo come La Marmora che apparteneva
al gruppo di alti ufficiali maggiormente legati alla tradizione sarda, ma nello stesso tempo
corrispondeva ad un reale situazione nelle province meridionali in cui, in un contesto di
guerra civile, l’esercito, nonostante tutto, rappresentava la forza con la maggiore coesione
nazionale in quel momento disponibile, grazie ad un difficile processo più che decennale,
iniziato nel 1848.
I tentativi di Spaventa quindi fallirono di fronte alla decisa opposizione dei vertici mili-
tari, ma non tanto, a nostro avviso, perché questi “fossero gelosi delle prerogative acquisite
durante il tempo dello stato d’assedio” , piuttosto perché la lotta al brigantaggio era dive-
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nuta una guerra senza quartiere; nel 1863, certamente non c’era più l’emergenza di fron-
teggiare una vasta insurrezione come nel 1861, ma permaneva la necessità di riassumere il
controllo delle zone interne meridionali attraverso vaste operazioni di controguerriglia che
solo l’esercito, in quel momento, poteva portare a termine. La promulgazione della legge n.
1409 del 15 agosto 1863 (legge Pica), con l’istituzione del reato di brigantaggio giudicato
da tribunali militari, significava il riconoscimento definitivo ai militari della direzione della
lotta contro quel fenomeno.
In un promemoria del gabinetto del ministro della Guerra , senza data, ma sicura-
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mente successivo al 15 agosto, si segnalava come le circolari n. 6583 e n. 6539 del 1° set-
tembre, emanate dal ministero degli Interni, in occasione della promulgazione della legge
Pica, non fossero riuscite a “far sparire quelle incertezze e quei conflitti di competenze che
già si sono lamentati prima”, in quanto “si è visto in talune province adottare dall’autorità
politica provvedimenti diametralmente opposti alle vedute del Comando generale delle
truppe”. Si suggeriva, pertanto, di obbligare i prefetti ad aderire senza remore alle direttive,
emanate dal VI Gran Comando, relative alla repressione del brigantaggio, di concertare
qualsiasi operazione con i comandanti di zona e sottozona militare e di sottoporre, in via
definitiva, il servizio di pubblica sicurezza del ministero degli Interni, esclusivamente per
ciò che concerneva la lotta alle bande, all’autorità militare. Quelle misure, proposte nel
promemoria, furono accolte e rese operative con la circolare n. 32, rivolta ai prefetti e sot-
toprefetti, e la circolare n. 51, rivolta ai comandanti di divisione territoriale e zona militare,
ambedue emanate dal generale La Marmora il 2 novembre 1863 .
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Condividiamo, quindi, il giudizio negativo di John A. Davis sui recenti tentativi sto-
121 daniela adorni, Il Brigantaggio, op. cit. p. 303.
122 Promemoria A, in auSSMe, Fondo G-13 Carteggio confidenziale del ministro, busta 2, fascicolo 85. Al
promemoria era annessa la bozza di una circolare preparata dal colonnello Pompeo Bariola, capo di
stato maggiore del comando del VI Gran Comando, che conteneva tutte le direttive proposte.
123 Circolari del Comando generale del VI Gran Comando di Dipartimento n. 32 e 51, in auSSMe, Fon-
do G-13 Carteggio confidenziale del ministro, busta 2, fascicolo 85. Nelle circolari fra l’altro s’impone-
va la cessazione di ogni trattativa con i capi banda e loro sostenitori.