Page 58 - L'Esercito alla macchia - Controguerriglia Italiana 1860-1943
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           sercito italiano a fronteggiare quel tipo di guerra, comune a quasi tutti gli eserciti europei
           del XIX secolo, possiamo individuare due grandi fasi nell’impiego delle truppe: la prima
           difensiva, dal 1861 al 1863, la seconda offensiva, dal 1864 al 1870. Nella prima fase i
           comandi italiani, dopo aver fronteggiato le “reazioni” di massa con misure durissime, ma
           efficaci , di rappresaglia contro gli insorti, mirarono a controllare il territorio, attraverso
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           una rete di comandi di zona e sottozona. Quell’organizzazione, in realtà rispondeva ad una
           strategia difensiva nel senso che si limitava al controllo e alla difesa dei centri urbani e dei
           piccoli villaggi all’interno, in modo tale che non fossero occupati stabilmente dai briganti.
           L’apparato più efficace fu stabilito sulla frontiera pontificia, lungo la quale fu istituito un
           apposito comando in cui i 15 battaglioni che componevano la forza della zona militare era-
           no schierati secondo tre linee di difesa, con il compito di fronteggiare un’invasione dai ter-
           ritori romani o da quelli più a sud e fermare incursioni di grosse bande. Quell’apparato era
           però insufficiente a bloccare il continuo passaggio attraverso il confine delle piccole bande
           e dei rifornimenti che, in realtà, come ci diceva Carlo Bianco, uscivano o entravano come
           volevano . Del resto lo stesso La Marmora, che definiva la frontiera “barriera insormon-
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           tabile per noi e facile asilo per i malfattori”, ancora nell’aprile 1864 bocciava il progetto del
           generale Arnulfi, Ispettore Generale delle legioni territoriali dell’Arma dei carabinieri, che
           proponeva di sostituire le truppe di fanteria e cavalleria, eccetto i presidi di Gaeta, Capua
           e Caserta, con stazioni dei carabinieri e reparti di Guardia nazionale mobile . Il timore
                                                                         137
           del comandante del VI Gran comando era sempre rappresentato da una possibile invasio-
           ne di grosse bande provenienti dal territorio romano che potevano essere fermate solo da
           forze dell’esercito in assetto di guerra schierate appositamente. In sostanza al di fuori dei
           centri abitati, la guerriglia agiva quasi indisturbata, ed era una fortuna per lo Stato unitario
           che non ci fosse un’unica ed efficace direzione politico-militare da parte borbonica. Per
           contrastarla offensivamente vennero schierate le colonne mobili, già utilizzate, nel 1860,
           in formazioni più pesanti, con supporti di artiglieria e talvolta genio, durante l’avanzata
           del Corpo di spedizione sardo in territorio pontificio e borbonico: pensiamo alla colonna













           135 Franco MolFeSe, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, op. cit., p. 98. Molfese fece esplicito riferimen-
              to al caso di Pontelandolfo dove “un battaglione di bersaglieri dette alle fiamme l’intero paese, fuci-
              lando chiunque vi fosse trovato e arrestando più di 400 persone”.
           136 A. Bianco di Saint Jorioz, Il brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863, op. cit., pp. 255-
              259.
           137 Lettera del n. 438, in data 16 aprile 1864, del Comandante del VI Dipartimento militare al ministro
              della guerra, in Carteggio confidenziale del ministro, auSSMe, Fondo G-13, busta 4, fascicolo 148. Nel
              fascicolo relativo alla difesa della frontiera pontificia, vi è anche il progetto del generale Arnulfi.

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