Page 30 - Missione in Siberia - I soldati italiani in Russia 1915-1920
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                 locali, i cui amministratori facevano di tutto per ostacolare le procedure di ri-
                 lascio. Come Bacic poté appurare, i proprietari e i dirigenti di queste fabbriche
                 non erano russi, né tantomeno ucraini. Si trattava per lo più di grandi ditte sve-
                 desi, in ottimi rapporti con la Germania, che si avvalevano per operare in Russia
                 di tecnici e intermediari finlandesi .
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                    L’intervento di Bacic valse comunque a sbloccare la situazione delle centi-
                 naia di italiani i quali, concentrati dapprima nel campo di Josufka, poterono così
                 giungere a Kirsanov alla vigilia della festa dello Statuto.
                    A questo punto è necessario però seguire il filo degli avvenimenti russi, il cui
                 precipitare fra la primavera e l’autunno 1917 assunse un ritmo vorticoso e gravi-
                 do di conseguenze per gli italiani di Russia, per la guerra e per il resto del mondo.



                                     la fIne del governo provvIsorIo
                    Definita talvolta come rivoluzione borghese, quella del febbraio/marzo era
                 stata in realtà una rivoluzione popolare, avvenuta al canto della Marsigliese e
                 con la partecipazione attiva delle organizzazioni degli operai e dei soldati, che
                 ora chiedevano al Governo Provvisorio rapida attuazione delle loro richieste .
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                    Soprattutto, la massa dei soldati, esausti della guerra, pretendeva che si po-
                 nesse presto fine alle ostilità. Le notizie di ribellioni nei reparti al fronte si
                 moltiplicavano ogni settimana, e soprattutto la turbolenta guarnigione di Pietro-
                 grado, arbitra della situazione ma priva di una leadership, teneva sotto costante
                 minaccia tanto il Governo Provvisorio, che la Duma, che lo stesso Soviet.
                    Non sarebbe esatto dire che tutti i soldati, e men che meno tutti i russi, vo-
                 lessero la pace a qualsiasi costo. Certo non erano più disposti a morire a decine
                 di migliaia per conquistare un lembo di Polonia o di Armenia, ma la maggior
                 parte era poco disposta ad accettare una pace cartaginese imposta dai tedeschi.
                    Intanto i socialisti occidentali, francesi soprattutto, moltiplicavano i propri
                 appelli ai fratelli russi perché non abbandonassero la guerra. Una vittoria del-
                 la Germania, ripetevano, avrebbe infatti segnato la fine di tutte le democrazie
                 europee. Anche i governi dell’Intesa del resto si prodigavano in assicurazioni,
                 non disgiunte da velate minacce: se la Russia fosse rimasta in guerra non le
                 sarebbero stati negati aiuti e sostegno, diversamente sarebbe stata abbandonata
                 al suo destino di futura colonia tedesca.
                    Questo indirizzo avrebbe forse prevalso se, in seguito ad una accurata opera-


                 31  Ivi, p. 126.
                 32  O. FIGES, La tragedia di un popolo, cit., pp. 429, 438­440.


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