Page 232 - Missioni militari italiane all'estero in tempo di pace (1861-1939)
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LA  PARTECIPAZIONE  ITALIANA  ALLA  SPEDIZIONE  INTERNAZIONALE  CONTRO  I  BOXER...   223

         secondo  il  deputato  repubblicano era  per  i costumi  cinesi  equipollente alla  "più
         atroce ingiuria")(22).  Per Barzilai, quello fu  soltanto il  primo di una lunga serie di
         errori  che  si  era  concluso  con  il  ritiro,  confuso  e  risibile,  della  nostra  azione
         diplomatica  all'indomani  del  rifiuto  britannico  di  appoggiare  l'Italia  nell'ormai
         compromessa vertenza per San-mun: "Prima" dichiarò l'esponente dell'opposizione
          "si  poteva e si  doveva,  secondo noi,  non porre il  Paese  per quella strada;  ma dal
          momento che si era tentato e si  era osato, non era lecito, senza preoccuparci e del
         decoro proprio e dello stesso prestigio europeo in quelle regioni, che riceveva per
          il  fatto  nostro  un  colpo  del  quale  sarà  per  risentirsi  lungamente,  non  era  lecito
          arrestarsi nelle forme che ho detto ed allegando la giustificazione degli impedimenti
          inglesi,  nelle  modalità che dai  ministri  del  Gabinetto Pelloux si  sono narrate"(23).
          Per Barzilai questa non era "storia retrospettiva", in quanto le azioni del precedente
          Gabinetto  e  dell'attuale  erano  comunque  collegate  dallo  stesso  Presidente  del
          Consiglio, Pelloux(24) e la politica estera di tale governo era talmente fumosa (come
         sovente appariva dallo  stile  oratorio  del  Visconti  Venosta)  da  potere  di  volta  in
         volta essere considerata o opposta o concorde a quella del Canevaro(25).  Di  certo,
          continuava il  leader repubblicano, Visconti-Venosta aveva continuato nel tentativo
          di  penetrazione  territoriale  in  Cina,  seppure  senza  "quell'ideale  che  era  brillato
          alla  fantasia  marinaresca  dell'onorevole  Canevaro".  E  quindi,  "( ... )  dopo  un
          passeggero e breve periodo di vagheggiate stazioni di carbone", il  nuovo Ministro
          degli  Esteri  "corse  con  la  mente"  all'idea  di  un  "osservatorio  commerciale"  da
          stanziare  sulle  coste  cinesi:  "Si  va  a  Pechino,  ma  la  Cina  non  voleva  saperne
          dell'osservatorio  commerciale,  molti  più  di  che  non  avesse  voluto  sapere
          dell'occupazione del  Che-Kiang e della  baia di  San-mun".  La  diplomazia italiana
          quindi  dovette  ridurre  le  pretese,  passando  dall'osservatorio  commerciale  alle
          concessioni  minerarie,  e  poi  a  quelle  ferroviarie,  fallendo  miseramente  in  tutti  i
          tentativi. "Ma è venuto un giorno finalmente" affermò Barzilai suscitando l'ilarità
          della Camera e la reazione irritata del Ministro degli Esteri "in cui la Cina ha detto:
          anche  l'Italia  ci  sta  al  mondo  per qualche  cosa,  e  quindi  anche  ad  essa  bisogna
          consentire  una  soddisfazione.  E  quel  giorno  faceva  sapere  alla  Consulta  che  si
          consentiva  all'Italia  la  cattedra  di  letteratura  italiana  nell'Università  di  Pekino".
          Perché,  secondo l'esponente  repubblicano  i cinesi  erano  in  una posizione  debole
          ma "( ... ) essi, il  giorno in cui si  trovano a chi appare più debole di loro, diventano
          eroi" (26).  E debolezza fu, a detta di Barzilai, e poteva essere paragonata alle grandi
          disfatte  del  recente  passato  e  alle  debolezze  delle  scelte  di  alleanza  del  presente:
          "Una  frase  di  Pasquale  Stanislao  Mancini"  affermò  in  conclusione,  accolto  da
          scoscianti applausi dell'opposizione "mi pare che il governo abbia voluto applicare
          ai suoi programmi di politica estera. Egli diceva un giorno in questa Camera «L'Italia
          da quando ha conquistato la sua unità deve dare l'anima sua, le sue risorse perché
          in  Europa  dovunque  felici,  come  essa  è  felice,  si  moltiplichino  e  consolidino le
          unità degli  altri  popoli».  Onorevoli colleghi,  in  Africa  siamo arrivati a costituire
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