Page 233 - Missioni militari italiane all'estero in tempo di pace (1861-1939)
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224 MARCO CUZZI
la coscienza etiopica; a Pechino siamo giunti a risuscitare il sentimento dell'unità
gialla che stava sparendo; e sulle rive dell'Adriatico, per quando il fato si poserà
nuovamente sul capo della casa di Asburgo, ci apparecchiamo a costituire l'unità
di un impero croato!,,(27). Giolitti intervenne subito dopo, con un breve e
asciutto discorso nel quale si richiedeva al Ministro degli Esteri se le trattative
per San-mun erano concluse, o meglio definitivamente fallite, o se stavano
proseguendo e quando sarebbe stato pubblicato il più volte richiesto "Libro Verde":
pur differenziandosi dal tono e da parte della sostanza dell'intervento precedente,
l'esponente liberai-democratico si affiancava alle opposizioni nella richiesta di
maggiore trasparenza. I due interventi spinsero il Visconti Venosta a replicare.
Egli escluse anzitutto qualsiasi politica di occupazione condotta dal governo in
Cina: non vi erano trattative né per San-mun né per altre baie o penisole; le
relazioni con la Cina erano state ristabilite attraverso l'iniziativa del nuovo rappre-
sentante italiano a Pechino, il marchese Salvago-Raggi. L'iniziativa italiana nel
Celeste impero si sarebbe concentrata sulle attività commerciali e industriali dei
privati colà attivi, sostenendone financo le collaborazioni con le autorità imperiali.
Nelle parole del Ministro emergeva una politica più imperialista che coloniale:
"Credo ( ... ) che le imprese coloniali non si possano considerare indipenden-
temente dalle condizioni e dai mezzi che sono loro necessari per renderle
possibili e proficue. Queste condizioni e questi mezzi sono l'iniziativa ed il concorso
del capitale privato, un bilancio dello Stato che conceda le spese necessarie
perché le occupazioni coloniali non rimangano sterili e senza valore; e soprattutto
l'appoggio del paese: perché se vi è una politica che per essere seriamente condotta
e praticata richiede il favore dell'opinione pubblica, questa è la politica coloniale"(28).
Il commento delle opposizioni a queste posizioni moderate non tardò e fu esplicitato
per voce di Pilade Mazza, anch'egli repubblicano: "Egli (Visconti Venosta - NdA)
ci annunzia che il Ministero, presieduto da quel medesimo Pelloux di ieri, ha
mutato tattica e programma, e vuole unicamente aiutare e favorire le possibili
colonie commerciali per la risoluzione del grande problema economico italiano"(29).
In sostanza, il primo governo Pelloux si era dimesso perché non volèva rinunziare
a una politica di potenza e para-coloniale in Cina mentre il secondo governo
Pelloux vi rinunciava preferendole un'iniziativa più moderata imperniata sulle
penetrazioni commerciali private. Ma in realtà l'apparente contraddizione nasceva
dalla diversa compagine governativa: mentre il primo governo Pelloux risentiva
nettamente dell'influenza crispina, il secondo aveva inserito al suo interno gli
eredi di quella destra storica da sempre refrattari alle avventure internazionali e
favorevoli soprattutto al!'intensificazione dei rapporti commerciali del Paese.
Infatti il gruppo rudiniano apparve soddisfatto della rinunzia alle velleità espansio-
nistiche in Cina, e chiese maggiore chiarezza circa l'attuale situazione delle trattative
commerciali: "( ... ) o vi sono trattative in corso, e i documenti si pubblicheranno
a trattative finite", dichiarò Ascanio Branca subito dopo Visconti Venosta "o le