Page 237 - Missioni militari italiane all'estero in tempo di pace (1861-1939)
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228 MARCO CUZZI
occorrendo, alcune forze da sbarco". La spedizione, tuttavia, aveva obiettivi limitati
al ristabilimento della sicurezza nei confronti degli europei operanti in Estremo
Oriente e al ripristino dei commerci: "( ... ) non è nelle nostre intenzioni, come
non è, per quanto posso assicurare, nelle intenzioni delle altre potenze, di cercare
negli avvenimenti presenti, alcuna occasione per una politica di occupazioni o di
possessi territoriali in Cina"(42). Mentre l'estrema sinistra, per bocca dell'onorevole
Socci, replicava al Ministro condividendo i limiti della spedizione, l'esponente della
sinistra storica Nunzio Nasi intervenne contestando le motivazioni, limitate nella
portata, del progetto di Visconti Venosta di inviare un corpo di spedizione italiano
in Cina: "L'onorevole Visconti Venosta dice che bisogna andare in Cina per fare
opera conforme agli intendimenti delle altre grandi Potenze. Egli crede ed afferma
che l'interesse delle grandi Potenze sia solamente quello di garantire la vita e gli
interessi dei loro connazionali e di esercitare i doveri di civiltà verso quel grande
centro di vita, che vorrebbe chiudersi alla concorrenza delle altre forze del
mondo. In verità sono poco persuaso di questa spiegazione ( ... ). La tutela dei
grandi interessi di civiltà mi è parsa sempre una delle solite frasi con le quali, in
ogni tempo, tutte le grandi potenze hanno colorito i loro fini di conquista". Ma
Nasi non negava che l'intervento fosse un dovere per l'Italia: "Tutti ora ammettiamo
che l'Italia debba intervenire; ma aggiungo che deve intervenire con un obbiettivo
preciso, con un piano sicuro, senza attendere gli avvenimenti, senza andare incontro
a disinganni, che potrebbero far compagnia a parecchi altri amarissimi, ai quali
siamo andati incontro per effetto della nostra debolezza, della nostra incertezza,
della nostra impreveggenza". Niente avventure coloniali quindi, ma al contempo
Nasi richiedeva un'iniziativa che garantisse al corpo di spedizione una base logistica
sulla terraferma: se ciò non fosse accaduto, i marinai sarebbero stati soltanto
"padroni delle acque": in quel caso il compito di difendere i nostri pochi connazionali
avrebbe potuto essere trasferito alla Germania o alla Gran Bretagna, risparmiandoci
un'inutile spedizione militare (43) . L'intervento di Nasi si concluse con un'interruzione
di Enrico Ferri che in una sola frase riassumeva le posizioni socialiste: "Purché
non si faccia un'altra Etiopia!"(44). Di ben altro tenore fu l'intervento del crispino
Fortis, che salutava la partecipazione italiana alla spedizione in Cina come il
tramonto definitivo dell'''infausta'' politica dell'abbandono. L'intervento sarebbe
servito senz'altro a salvaguardare i nostri connazionali, ma "( ... ) al periodo della
difesa e del ristabilimento dell'ordine, dovrà necessariamente succedere il periodo
dei risarcimenti; ed al periodo dei risarcimenti dovrà succederne un altro ( ... ) e
sarà quello in cui si dovranno discutere e stabilire le garanzie per la sicurezza
dell'avvenire ... "(45). Santini seguì Fortis nell'approvare la politica governativa e
paragonò l'invio dei soldati italiani in Cina all'impresa di Crimea, suscitando l'ilarità
dell'estrema sinistra. Santini concluse l'intervento augurandosi che tale intervento
militare potesse fare trarre vantaggi per l'Italia: "vantaggi pei quali, dopo il
sangue nobilissimo sparso in Cina, è impegnato per la civiltà e per l'umanità,