Page 242 - Missioni militari italiane all'estero in tempo di pace (1861-1939)
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LA PARTECIPAZIONE ITALIANA ALLA SPEDIZIONE INTERNAZIONALE CONTRO I BOXER... 233
dal pensiero che purtroppo, non per colpa nostra, ma di altri, attraverso la nostra
civiltà ed in nome di essa, si ritorni ad atti dell'antica barbarie"(68). Di ben altro
avviso fu il Chiesi, che da un lato sottolineò la vacuità delle notizie a conoscenza
del Ministro e dall'altro chiarÌ la natura della seconda parte della sua interro-
gazione: "( ... ) io non credo che sia decoroso ed onorevole per l'Italia il mantenere
la sua bandiera là dove le truppe internazionali danno spettacolo da predoni,
semplicemente!"(69). Le posizioni delle opposizioni si definirono quindi 1'11 dicembre
successivo con la presentazione di un ordine del giorno da parte di Giovanni Bovio,
anch'egli repubblicano, il quale, ispirato da una campagna di stampa innescata dal
quotidiano radicale "Il Secolo", recitava: "Dopo le notizie precise circa l'azione
delle armi internazionali nella Cina, la Camera propone il ritiro delle truppe italiane
da quel paese, dove la civiltà è stata offesa nel nome e nei fini" (70). Nella sua
relazione di presentazione, Bovio si pose una domanda retorica: "È civiltà questa,
davvero, che la vecchia Europa porta nella Cina? ( ... ) Innanzi all'acume italiano
( ... ) non vengano le grandi potenze a presentare certi equivoci che farebbero
sorridere i segretari i degli ultimi Comuni rurali. Dicano di andare in Oriente chi
a proteggere e ad estendere le occupazioni già fatte, chi a tentarne di nuove, chi
a precludere la via alla potenza piu temuta e invadente, chi a scongiurare il pericolo
di una esclusione dalla futura divisione della preda, chi, come il Giappone, ad
impedire la vera evoluzione della Cina che tende a una vasta federazione: questo
dicano ed altro: ma non parlino di diritto delle genti ( ... ) II Ministro italiano
doveva rispondere alle potenze: volete compagno il mio paese ad una impresa di
civiltà? Vengo. Ma dove la civiltà cominci a farsi complicità, mi ritiro. La mia
venuta è giustificazione; il mio ritiro, è condanna: perché l'Italia, tenuto conto
della sua origine e della sua missione, non può macchiarsi" (71).
L'intervento di Bovio assunse i toni di una dura requisitoria che andava ben
al di là della vicenda internazionale, evocando nuovamente la strategia "liberticida"
dei governi di fine secolo. Il riferimento formalmente era alle altre potenze, ma
pareva rivolgersi anche a certi scranni parlamentari e governativi: "In nome della
forza, voi siete il potere militare con tutte le conseguenze: siete la strage come
mezzo, la conquista come fine ( ... ). Dovete voi" concludeva il deputato repubblicano
stavolta rivolgendosi esplicitamente al Governo "e questa iniziativa tornerebbe
tutta ad onor vostro, fare intendere alle potenze che se le loro soldatesche, con
mani lorde di furto e di sangue, continueranno ad onorare la civiltà nella Cina,
voi richiamerete il soldato italiano, che, me more della patria sua, non si è
macchiato"(72). Immediatamente dopo l'intervento di Bovio prese la parola il
Presidente del Consiglio Sat·acco. Egli innanzi tutto si mostrò sorpreso dal "fiorito
discorso" dell'esponente dell'opposizione, compiuto a conclusione della vicenda
militare e non all'inizio della stessa: le posizioni di Bovio, quindi, non avevano
alcun significato pratico. Conclusa l'operazione militare, le truppe italiane stavano