Page 243 - Missioni militari italiane all'estero in tempo di pace (1861-1939)
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234 MARCO CUZZI
attendendo la conclusione delle trattative di pace con la Cina. Un ritiro delle
truppe in quel momento sarebbe stato, per il Governo, per lo meno inopportuno,
e financo disastroso. "Or bene, in questo stato di cose, vi pare proprio ( ... ) che sia
venuto il momento di ritirare le nostre truppe, dopo le vittorie riportate col sangue
italiano? Venir meno ai doveri assunti verso le altre Potenze e rinunziare ai
vantaggi, che solo con la presenza e con l'azione delle nostre truppe, possiamo aver
fede di conseguire?". Inoltre, aggiungeva Saracco, le notizie alla base della richiesta
di Bovio e dell'opposizione circa le presunte efferatezze compiute da altri eserciti
europei non erano suffragate da prove. Alcuni deputati, tra cui Leonida Bissolati,
interruppero il Presidente del Consiglio rammentandogli l'ammissione fatta dal
Ministro della Guerra, il quale aveva negato la partecipazione degli italiani alle
stragi ma non le stragi stesse. A quel punto Saracco concluse il suo discorso respingendo
tout-court l'ordine del giorno di Bovio, senza replicare ulteriormente alle ultime
eccezioni sollevate(73). La discussione si concluse con la dichiarazione di voto di
Giolitti, il quale pur comprendendo le perplessità di Bovio, confidava sull'azione
accorta del Governo e quindi avrebbe votato contro l'ordine del giorno. Il voto,
scontato, vide una ampia maggioranza, che oltre a rudiniani, crispini e giolittiani
comprendeva anche alcuni esponenti dell'estrema sinistra, respingere l'ordine del
giorno, sostenuto da una pattuglia di socialisti, repubblicani e radicali.
Gli avvenimenti in Cina tornarono ad essere eclissati dall'evolversi della
situazione politica in Italia e dalle imminenti scelte internazionali del Paese. Nel
febbraio 1901 Saracco fu sostituito da Zanardelli e il Visconti Venosta lasciò il
dicastero degli Esteri a favore di Giulio Prinetti. Il passaggio dalliberalismo conser-
vatore a quello progressista distolse l'attenzione della classe politica italiana dai
lontani avvenimenti nel Celeste impero, dove peraltro la situazione si stava
normalizzando e le trattative di pace stavano per giungere a una conclusione. Un
dispaccio del "Corriere della Sera" del 7 marzo 1901 ripropose la questione
cinese in una lettura retrospettiva, e il repubblicano Chiesi presentò un'interpellanza
al Ministro della Guerra in merito all'impreparazione logistica del nostro corpo
di spedizione: mezzi di trasporto inadeguati, perdita di materiale sanitario durante
le operazioni di sbarco (compiute, caso unico tra i vari corpi di spedizione, con
giunche in bambù anziché con moderne lance), scarsezza di animali per il trasporto
a terra, penuria di vettovaglie (che spinse molti soldati al saccheggio), mancanza
di vestiario e soprattutto assenza di tenute invernali(74). Chiesi concludeva la sua
interrogazione chiedendo il fondamento di tali voci e le corrispondenti responsa-
bilità. La risposta di Ponza di San Martino, riconfermato da poco al dicastero
della guerra, fu a tratti chiara e a tratti curiosa: lo sbarco non poteva che avvenire
con imbarcazioni di bambù, visto il lungo bagnasciuga che non avrebbe permesso
l'approdo di altre imbarcazioni, mentre la parziale perdita del materiale fu dovuta
principalmente alle condizioni climatiche avverse che si ebbero durante le fasi di
sbarco. I trasporti, poi, risultarono tra i più efficienti di tutto il corpo di spedizione