Page 238 - Missioni militari italiane all'estero in tempo di pace (1861-1939)
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LA PARTECIPAZIONE ITALIANA ALLA SPEDIZIONE INTERNAZIONALE CONTRO I lIOXEIL.. 229
l'onore della nostra bandiera"(46). L'estrema sinistra espresse parecchi dubbi, pur
senza opporsi rigidamente all'invio del contingente. "La via è questa:" avrebbe
scritto "l'Avanti!" "non consentire al Governo che i mezzi necessari per trarre in
salvo i nostri connazionali che fossero in pericolo: non altro". Il quotidiano socialista
insisteva nel ricercare le cause di quella vicenda, accusando i governi precedenti
di avere scaraventato l'Italia in quello che appariva come un immane cataclisma:
"Ah, tristi retori! Il vostro primo dovere sarebbe stato di non versare olio sul
fuoco colla vostra pazza impresa di San-mun. Si è vero: allora assumeste una ben
triste responsabilità" (47). Il precipitare degli eventi e le notizie circa immani massacri
di europei in Cina pose i socialisti, assai più dei repubblicani e dei radicali, nella
difficile situazione di dovere fare coincidere neutralismo e interessi nazionali. Arturo
Labriola individuò nella politica espansionistica e imperialista dei "due Imperi
feudali e militareschi d'Europa" la causa prima della situazione cinese(48) e indicò
in una politica filo-britannica, che prevedeva anche la delega totale al Giappone
per la risoluzione del problema militare e la difesa dei nostri connazionali, una
possibile alternativa all'invio delle truppe: "Noi possiamo quindi limitarci ad
assistere moralmente l'Inghilterra e a guardarci di cavare dal fuoco la castagna che
mangeranno gli altri"(49). Nei giorni successivi, i socialisti affinarono le loro posizioni:
pur ribadendo che l'unica alternativa possibile era un distacco dalla Triplice sulle
questioni estremo-orientali e un avvicinamento alla Gran Bretagna, accettavano
l'utilizzo di un piccolo contingente italiano in Cina: "Noi ( ... ) non abbiamo da
dire nulla contro la partecipazione, che è già un fatto compiuto, di pochi marinai
italiani alla spedizione internazionale. Ma non possiamo consentire altre spedizioni
di navi e di truppe"(50). In seguito, anche tale posizione si corresse, e il gruppo
socialista accettò l'invio di un contingente militare, anche se con molte perplessità
e respingendo ne l'entità, giudicata eccessiva: "( ... ) Con che animo", si domandava
"l'Avanti!", "e con che propositi vanno in Cina i soldati italiani? Questo il
governo ha l'obbligo di dire; questo il Paese ha il diritto di sapere"(51); e riguardo
ai vantaggi: "( ... ) se porti da concedere non ve ne sono più, se denari e territori
non se ne debbono chiedere in troppa misura, che rimarrà all'Italia per indennizzo
o per compenso della sua partecipazione negli affari dell'Estremo Oriente?"(52).
Alla vigilia della partenza, "l'Avanti!" pur attaccando il governo e insultando il
titolare degli Esteri, ne ridimensionava tra le righe la portata "colonialista", e di
conseguenza giustificava la scelta socialista di non ostacolare l'iniziativa: "Si mandano
( ... ) laggiù alcune migliaia di poveri soldati ( ... ) si mandano con la illusione di
ottenere che l'Italia tenga così il posto nel concerto europeo. E si dice che se non
si facesse, l'Italia si isolerebbe, e dovrebbe presto o tardi rassegnarsi a cogliere i
frutti del suo isolamento. Illusione, abbiamo detto, non pretesto. Perché il Visconti
Venosta è assolutamente un inetto. Egli non ha fini davanti a sé, né aperti né
nascosti. Se perciò dicessimo ch'egli adopera un pretesto, ammetteremmo che egli
abbia un fine coperto, quello di cacciare l'Italia a beneficio del militarismo, negli