Page 422 - Missioni militari italiane all'estero in tempo di pace (1861-1939)
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                 Quello stesso giorno però la Legazione di Gedda veniva informata dal governo
            saudita dell'intenzione di inviare i propri allievi in  Egitto, motivando la decisione
            con la necessità di  avere un'istruzione in lingua araba:  di conseguenza il  governo
            si  trovava  nella  necessità  di  "chiudere  temporaneamente  la  sua  attuale  scuola
            aviazione"(l31). Il  problema della lingua non era, in effetti, di poco conto (secondo
            l'efficace  descrizione  di  Gori  Savellini,  "i  piloti  Isauditi]  conoscono  pochissime
            parole  d'italiano  e  non  solo,  ma  non  conoscono  neppure  la  più  elementare
            nomenclatura dell'aereo; volano meccanicamente e per ogni esercitazione da far
            loro compiere, occorre eseguire con la bocca e con cenni ogni sorta di acrobazie
            per farsi comprendere")(l32), ed è pertanto comprensibile l'interesse mostrato dal
            governo saudita per la possibilità di  addestrare piloti in un paese di lingua araba,
            come appunto l'Egitto.  Le  prime segnalazioni  della presenza in  Egitto del  pilota
            Abdullah  Mandili,  ripetutamente  citato  da  Ciccu  quale  il  più  promettente  dei
            suoi allievi,  rimontano  alla  metà del  1938:  il  pi lota aveva conseguito il  brevetto
            di secondo grado, svolgendo attività intensa per aggiungervi quello di istruttore{(33).
            A Mandili era più  tardi affiancato Saleh Atib,  un  pilota che non figura  tra quelli
            addestrati  in  Italia.  Nel giugno 1939 sette piloti sauditi provenienti  dalla scuola
            di  Gedda  furono  in  effetti  segnalati  sull'aeroporto del  Cairo  presso  la  scuola di
            volo  della  MisI'  Air(134).  Con  lo  scoppio  delle  ostilità,  il  16  settembre  i sauditi
            furono  fatti  rientrare a  Gedda(135).
                 Tuttavia,  al  di  là  di  tali  considerazioni,  è  innegabile  che  nella  decisione
            saudita  giocassero  considerazioni  di  carattere  politico.  Più  che  di  ingratitudine
            verso l'Italia e l'opera svolta - ché, anzi, appare sincero il caloroso ringraziamento
            inviato  in  occasione  della  chiusura  della  scuola  -, a  dettare  il  nuovo  corso  era
            l'evoluzione della situazione mondiale. Il  conflitto spagnolo, la crisi cecoslovacca,
            il  rapporto sempre più stretto con la Germania nazista ponevano la politica estera
            in rotta di collisione con quella britannica, né a capovolgere l'ordine della regione
            potevano bastare i modesti  mezzi  e pochi uomini  della Missione aeronautica.  Gli
            accordi per lo sfruttamento delle risorse petrolifere dell'area, inoltre, costituivano
            una potente calamita che non poteva non influenzare la bussola della politica estera
            saudita.  Nonostante  una  lettera del  maggiore  Said  che  invitava  Ciccu  "a tornare
            a  Gedda per riprendere  il  suo  posto"  autorizzasse Sillitti  ad  attribuire  una  parte
            della  responsabilità all'efficientismo di  Gori Savellini,  appare in  realtà  inevitabile
            l'eliminazione  della  presenza  aeronautica  italiana  in  Arabia  Saudita,  conclusasi
            con l'imbarco del personale ilIo aprile:  Gori Savellini salpò per Massaua, i cinque
            specialisti per Suez{ 136).
                 Gli aerei italiani durarono più a lungo:  due Ca.l00 rimasero in attività per
            almeno un altro anno e  nel  1942 i trimotori vennero donati alla  RAF  britahnica,
            nei  ranghi della quale  almeno  uno restò  in  servizio sino all'ottobre  1943(137).  Il
            cerchio si  veniva cosÌ  a chiudere: sotto la  pressione britannica e l'incalzare degli
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