Page 50 - Missioni militari italiane all'estero in tempo di pace (1861-1939)
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42 TIBERIO MORO
Per l'isola di Socotra, tuttavia, le trattative sono negative(88) e il comandante
Racchia torna in Italia il 1 marzo 1872; ma per lui si preparano altri incarichi(89).
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Le questioni per il Borneo vanno per le lunghe: il Foreign Office prende
tempo in quanto deve consultare il Governo dell'India(90); ancora all'inizio di
agosto" il cavaliere Cadorna scriveva al Ministero che le pratiche da lui fatte
presso i ministri inglesi per avere una risposta nell'affare dello stabilimento di una
colonia italiana sulle coste di Borneo non avevano avuto alcun esito"(91), permanendo,
altresl, precise riserve dell'Olanda.
Siamo praticamente alla fine del 1872 quando il Ministro degli Esteri Visconti
Venosta, ragguaglia il nostro Ministro a Londra, dopo un colloquio a Roma con
il Ministro inglese Sir Barde Frere di passaggio mentre si recava Brindisi per
imbarcarsi per Zanzibar(92).
Premesso che il Ministro "è una delle persone più competenti nelle quistioni
della politica inglese nelle colonie indiane e ( ... ) mostrava la più sincera e illuminata
simpatia per l'Italia" il discorso di Venosta è del seguente tenore:
"( ... ) Noi non abbiamo alcuna volontà né alcuna ragione di mettersi ora a
fare della politica coloniale. Anche uno stabilimento di deportazione non sarà forse
per l'Italia un'istituzione permanente. Ma abbiamo in alcune parti d'Italia alcune
piaghe sociali triste retaggio del passato. Queste piaghe vogliamo guarirle a qualunque
costo - è per noi una questione di dovere e di onore nazionale. Noi non vogliamo
transigere con questi disordini e l'assegnarci a fare menage con essi. Abbiamo
passato questi anni a fare grandi sforzi per metterci in misura di far fronte ai
nostri impegni finanziari; un sentimento analogo di dovere ci impone di porre un
termine alle condizioni anormali della Romagna, del Napoletano, e della Sicilia,
di ristabilire colà una sicurezza pari a quella delle altre parti d'Italia e degli altri
paesi civili d'Europa. Questo dovere, i giornali inglesi ce lo fanno spesso sentire
in un modo certo più sincero che obbligante.
Ora, se ci ponessimo in Italia ad applicare la pena di morte con un'implacabile
frequenza, se ad ogni istante si alzasse il patibolo, l'opinione e i costumi in Italia
vi ripugnerebbero, i giurati stessi finirebbero o per assolvere, o per amettere in
'ògni caso le circostanze attenuanti.
Bisogna dunque pensare ad aggiungere alla pena di morte un'altra pena, quella
della deportazione; tanto più che presso le nostre impressionabili popolazioni del
mezzogiorno la pena della deportazione colpisce più le fantasie e atterrisce più
della stessa pena di morte. I briganti, per esempio, che sono atterriti dall'idea di
andar a finire i loro giorni in paesi lontani, ed ignoti, vanno col più grande stoicismo
incontro al patibolo. ( ... )
Frattanto, si avvicinava l'ultimo termine per lo scambio delle ratifiche dei
trattati da noi conchiusi coi Birmani e col Siamo Abbiamo dunque fatto partire il
comandante Racchia. Due legni della nostra marina salperanno in questi giorni,
se già non son salpati, per raggiungerlo in un porto dell'India.