Page 146 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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I giovinetti  97


               Era invece il risoluto freno posto alla fantasia, entro un maschio volere e una visione
            realistica della vita: era la tenacia laboriosa del figlio d’agricoltori. La giovinezza aveva
            ceduto alla ferma maturità.
               Così pure persona già completamente formata è il professor Giuseppe Procacci, che
            compie con purissima abnegazione tutto il suo dovere fino alla morte, ma la guerra la
            vive come una deviazione dalla via scelta, dalla sua scuola e dagli studi, a cui si rivolge
            con un desiderio accorato di vita serena.

                 Mi allontano da Carrara con rimpianto. Ormai sentivo di amare quella scuola.
               Dovunque però io vada, porterò con me l’amore per la mia professione, che libe-
               ramente elessi. Ma quando tornerò io all’insegnamento? Il non vederlo prossimo
               mi rende a volte triste. Di quando in quando mi viene anche in mente che potrei
               non tornare più, e puoi immaginare quale sia allora lo stato della povera anima mia,
               sola in tanto tumulto. Queste malinconie non le scrivo ai miei, perché non voglio
               addolorarli.
                 Naturalmente quassù bisogna aver sempre presente l’estote parati; ma io non ho
               nessuna vocazione di morire. In qualunque occasione saprò fare il mio dovere; ma
               non ho e non voglio darmi l’aria di chi va sorridendo alla morte. Certe scempiaggini
               le lascio fare agli altri .
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               Trova in trincea un collega:
                 (11 febbraio ’17). Con lui… rievochiamo gli anni del nostro insegnamento e
               specialmente quelli dei nostri studi, quegli ideali che ci hanno brillato nel cuore e ci
               hanno fatto palpitare nei primi anni della giovinezza, e ora, in tanto tumulto di armi,
               ci sembrano così remoti e inefficaci, mentre sono la vera, la grande poesia della vita .
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               Ma questo dominio sull’attività guerresca, come momento transeunte, quest’opera-
            re nella guerra distaccati da essa, era impossibile agli animi più acerbi. La guerra per essi
            diventa un’ebbrezza, un sogno di gioventù, la prima grande passione; taluni si risolvono
            e bruciano tutti in essa. Tale fu la sorte del giovinetto Leopoldo Aguiari, volontario di
            guerra, che morì diciannovenne sul San Michele. Orfano di padre, era stato educato
            dal nonno materno, il conte Alberto Avogli Trotti. Avvezzo alla piena confidenza col
            vecchio nonno, egli raccontava nelle lettere tutti gli episodi di trincea, e tutti i momenti
            del suo giovanile ardore, incurante, per inconscio egoismo, dell’esigenza terribile che
            poneva al nonno, d’accompagnare col pensiero, col suo vecchio cuore, il lontano nipote
            nei rischi mortali.
               Il giovinetto ha candide fanciullesche ambizioni. Va alla fronte con un reggimento
            che nella stessa linea tiene un corso d’allievi ufficiali, e mentre si conquista il grado, egli
            sogna ampia e gloriosa carriera.

                 (Udine, 4 febbraio ’16). Come ti puoi immaginare la mia contentezza è al col-
               mo, finalmente ho raggiunto il mio fine e col coraggio e coll’entusiasmo che sento
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