Page 149 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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vedette avanzate le finivano barbaramente o inchiodandoli al suolo colle baionette, o fra-
cassandogli la testa con certe mazze ferrate con punte a diamante che hanno loro. Diedi
l’ordine ai miei uomini, a quei pochi che mi restavano: «alla seconda linea».
Arrivato alla seconda linea e dispostili in ordine di combattimento li contai: di
195 uomini e ufficiali, restavano 83 uomini e due ufficiali: quando seppi che il ca-
pitano e l’altro tenente ferito erano morti nel trasporto al posto di medicazione, un
urlo di vendetta irruppe dal mio petto: «vendichiamo il nostro capitano».
Ormai i gas erano dispersi o s’erano confusi ed innalzati nell’aria. Mi slanciai
fuori della trincea al grido di Savoia; un grido fanatico saturo d’odio e di vendetta mi
rispose, erano i miei valorosi che con un urlo terribile di Savoia rispondevano al mio.
Ci slanciammo alla baionetta. Rabbia! a dieci metri dal nemico una palla mi colpi-
sce ad una gamba, mentre un sasso lanciato dallo scoppio di una granata, mi colpiva
alla testa rompendomi l’elmo e stordendomi senza però farmi nessuna ferita.
Quella ferita alla gamba fu la mia fortuna! I miei uomini rigettati, come tutto il
battaglione, nel ritirarsi mi raccolsero e mi portarono all’infermeria .
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Appena guarito s’affrettò a tornare, pertinace, in prima linea. Ma non potè narrare
al nonno l’ultima sua avventura, quella del 6 agosto 1916, quando – nei preludi della
nostra offensiva che doveva portare l’esercito italiano oltre Gorizia e oltre la contrasta-
tissima vetta del San Michele – egli uscí di pattuglia, per non più rientrare tra i suoi.
Quando la sua brigata, la Ferrara, avanzò, trovò una croce col nome di Leopoldo Aguia-
ri: gli austriaci gli avevan dato sepoltura sulla vetta del San Michele.
Pure volontario di guerra era Alessandro Comin da Padova, che morì non ancora di-
ciannovenne il 18 giugno 1916. Ha tutta l’espansività loquace, mobile, d’un fanciullo, e
d’un fanciullo veneto. Quando s’avvia alla fronte carsica con una batteria da campagna,
cerca di trasfonder nel padre tutti i suoi sentimenti; fin l’acre fantasia d’una possibile
morte gloriosa: e si sente che fa come i bambini che voglion persuadere i genitori a ve-
der la realtà coi loro propri occhi, e che pretendono imporre alle cose la legge del loro
desiderio. Una commovente candida ingenuità ci conquista.
(21 maggio ’16). … Oh se si deve vincere! Il coraggio quassù non manca a nes-
suno, neppure ai padri di famiglia che hanno a casa cinque o sei piccoli da man-
tenere, che hanno visto la morte sette o otto volte da vicino e che ritornano dopo
breve riposo in trincea.
Senti, papà mio, se un giorno mi trovassi ferito, magari senza alcuna altra speranza
di vita, là, lassú, quassù, anche in faccia al nostro naturale e barbaro nemico, credimi
le ultime mie ore sarebbero un tremendo tormento, un tormento senza limite, per il
pensiero che ancora, grazie al cielo, ho voi al mondo che dovrei lasciare per sempre,
senza potervi prima baciare e dirvi quanto vi amo e vi ho amato, ma sarei contento di
aver data la vita, la mia giovane vita per la mia bella Italia, per ciò che ho di più caro
subito dopo di voi. Ma con ciò, papà mio, non avvilirti, anzi rallegrati, ché il vostro
nome è a me bene affidato e io ritornerò contento fra voi. È stato uno sfogo questo
mio, di ciò che provo, di ciò che sento di esser capace di fare .
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