Page 148 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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I giovinetti 99
Ritrova in sé il vigore del comando, che s’espande serenamente su chi deve ubbidire;
sperimenta il dolore di dover disporre della vita altrui, e quello di veder portar via da
una forza invisibile i propri compagni, senza poterli riparare: ché nella guerra moderna
la morte non si compenetra col nemico, ma con una forza arcana, come il mitico dardo
d’Artemide.
… li vedi (i soldati al momento dell’assalto) prima tentennare, poi eseguire im-
pallidendo… ma poi quando mi hanno visto caricare la rivoltella con calma, colla
sigaretta in bocca, me che pochi giorni prima mi avevano visto svincolarmi dalle
braccia di una madre piangente… al mio «pronti??» mi fu risposto: «tutti».
E tutti furono con me, anche uscendo dalla trincea, anche sfidando la morte quasi
certa. Poveri giovani, la maggior parte non doveva più montare all’assalto col loro te-
nente (come mi chiamavano sebbene io non avessi diritto a questo titolo). Sono uscito
dalla trincea con cinquantanove eroi, ed entravo in quella nemica con trentotto e dopo
due ore di bombardamento nemico, me ne restavano venti. Ecco ciò che mi addolora:
ciò che quasi mi avvilisce: veder cadere così i miei prodi, senza poter proteggerli, ed
essere impotente contro la morte che mi ruba così i miei soldati, i miei cari eroi .
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La guerra lo logorò: ebbe un periodo d’esaurimento. Ma si riprese subito, e ritornò
al suo posto (era già divenuto ufficiale), e visse la tragedia dei gas asfissianti di San Mar-
tino del Carso nel giugno ’16.
(s. d.). Il 23 giugno, rimesso completamente per quello sfinimento che avevo avu-
to, raggiungevo il mio battaglione che era in linea tra monte S. Michele e S. Martino
sopra Sdraussina, vis-à-vis di Gradisca. Alla mattina del 26 giugno alle 3 il nemico
cominciò un violento bombardamento sul S. Michele e sul S. Martino, Elemento
quadrangolare, Bosco Cappuccio, Bosco Lancia, Monte Sei Busi, Cave di Seltz. Alle
5 il bombardamento allungò il tiro per impedire ai rincalzi di portarci il soccorso
voluto; poi cominciarono un forte getto di gas asfissianti. Come al solito, mantenni
la mia calma, non ostante che al mio plotone avessi avuto 8 morti e 14 feriti, su 47
uomini, e sui 195 della compagnia avessimo 55 morti e 62 feriti e di 5 ufficiali, il
capitano ferito, un tenente morto ed un altro ferito: rimanevo io e un aspirante, io
comandavo la compagnia. Appena mi accorsi del lancio dei gas, credendo fossero i
soliti, ordinai di mettere le maschere, e di fare un fitto fuoco di fucileria, prima onde
scomporre un po’ i gas, poi per colpire il nemico che senza dubbio avanzava dietro i
gas, quando questi maledetti gas cominciarono ad avvolgere le mie vedette che vidi
rizzarsi e poi cadere dibattendosi come stessero morendo. Né potevo comprendere il
perché: colpiti, pensai: ma possibile che una linea di vedetta di 22 uomini vengano
tutti colpiti simultaneamente? Neppure una falciata di mitragliatrici otterrebbe ciò.
La ragione però me la spiegai quando i gas avvolsero le trincee da noi occupate: man
mano che gli uomini venivano avvolti dai gas, dopo pochi istanti cadevano dibatten-
dosi come pesci fuori d’acqua.
Compresi e rabbrividii! Eravamo perduti!
I tedeschi avevano inventato un nuovo gas asfissiante contro il quale le nostre masche-
re erano inservibili. Il restare voleva dire morire: una cosa mi restava, ritirarmi abban-
donando le posizioni per poi riprenderle appena i gas fossero diradati, e per il cambio
del vento prendessero un’altra direzione. Già udivo gli urrà degli austriaci, che trovate le