Page 156 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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I giovinetti  107

               che ha fede è felice! Felice perché crede e non ragiona la sua credenza, e qualunque
               cosa gli succeda, vede una ragione di più per credere. È comodo e piacevole avere
               una forma di fede nel cuore; perciò se la religione cristiana rappresentasse quella che
               si usa chiamare la verità, Dio dovrebbe avere ben più caro colui che non ha fede e
               la cerca, che non l’altro il quale non dubita. Ma forse la fede piena e assoluta è dei
               semplici, e per questo di loro è, dice Gesù, il regno dei cieli.
                 È un libro che riconforta e avvilisce nel medesimo tempo. Artisticamente poi è
               men che nullo .
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               Intanto maturavano i primi segni della riscossa italiana. Frenata, con le battaglie
            del novembre-dicembre l’offensiva austro-tedesca sul Grappa e sugli Altipiani, verso
            la fine del gennaio il nostro comando volle restaurare lo spirito aggressivo dell’esercito
            con un’azione offensiva su Col del Rosso e Col d’Echele per meglio saldare il settore
            del Grappa con quello degli Altipiani. Proprio allora il Sarfatti ritornava in linea da una
            licenza di premio. Saputo impegnato il suo reparto con corsa affannosa l’andò ricercan-
            do sui monti. Trovò la sua compagnia ancora in lotta, e si cacciò nella mischia. Da solo
            entrò in un camminamento nemico. Catturò una mitragliatrice, fece una trentina di
            prigionieri; poi attaccò una galleria dove il nemico resisteva ancora. Una palla in fronte
            lo fulminò il 27 gennaio 1918.
               Gian Paolo Berrini portò sereno e calmo, senza esitazioni, senta rimpianti, per qua-
            si tre anni di guerra la fede e l’ardore che lo spinsero volontario di guerra nel giugno
            1915 . Non lo turbarono né il contrasto fra ideale e realtà, né le dure prove, né i pun-
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            genti dolori, né l’aspetto della morte.
               Appena conseguita la licenza liceale s’arruolò nel 5° alpini. Pose nel suo fardello una
            copia dei Doveri dell’uomo del Mazzini, da cui aveva appreso che bisogna dare prima
            di chiedere; che non ci dev’essere limite nella propria dedizione, che il primo diritto è
            quello di compiere il proprio dovere , e partì. Aveva una lucidezza singolare nel vedere
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            e sistemare le cose nel loro complesso: perciò poco su lui potevan le impressioni imme-
            diate, gli sgomenti e la sfiducia. Vedeva la ineluttabilità di guerra con una nettezza che
            sarebbe stata desiderabile nei nostri non sempre accorti diplomatici.

                 (maggio ’15, alla madre). Se pure i tedeschi ci donassero (come si fa ad un povero
               pezzente), se mai ci donassero le terre irredente, lo farebbero solo per la necessità del
               momento, e, conclusa la pace con gli altri, verrebbero a pestar noi, che non saremmo
               aiutati da nessuno.
                 Fra il cadere noi giovani, noi dell’esercito, in battaglia, fra il vedere, sia pure, l’Ita-
               lia ridotta ad un ospedale di feriti, per l’umanità ed il diritto, ed il vederci soggiogati
               e martirizzati, ed il sentirci schiavi volontari di un popolo barbaro, credo non occorre
               essere molto logici ed intelligenti per dire che si starebbe meglio nel primo caso e per
               gridare con me: guerra, guerra!! .
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               Ma non per questo amava la guerra.
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