Page 159 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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110 Momenti della vita di guerra
faccia al mondo che pure noi italiani siamo capaci di fare da soli e fare bene, ora
che abbiamo fatto la guerra con gli alpini e abbiamo la coscienza (quanto amor
proprio!) d’aver fatto la nostra parte di alpini, ci godiamo meglio e con spirito
più sollevato queste bellezze della natura. Dalla finestra della mia camera , avanti
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alla quale sono seduto per scrivervi, vedo meravigliosi monti. Spiccano nel cielo
nitidi e dominatori sugli altri, il Cristallo, le Marmarole, il Sorapis, l’Antelao. Ai
miei piedi sta Cortina, e lungi nell’azzurro lontano nel cielo, reso cristallino dal
vento e splendido dopo i giorni di tormenta, vedo le Alpi Giulie. Ormai la neve
tutto ha imbiancato, ormai l’inverno è iniziato; ma noi possiamo guardarlo sereni
per l’opera compiuta nella scorsa estate, certi che l’Italia in pace è contenta di noi.
Possiamo poi guardare la neve tranquilli perché ci siamo ormai sistemati nelle no-
stre baracche e perché i soldati stanno bene: certo che se potessi sapervi tranquilli
quanto io lo sono, certo che starei meglio, sarei veramente felice. E potete essere
sicuri che questa mia felicità è superiore a quella dell’anno passato a Cima d’Asta,
perché oggi oltre ad essere soddisfatto, so di valere qualche cosa, comprendo di
non essere solo un discutibile studente ed un giovane aspirante, oggi ho la certezza
che so fare qualche cosa, che potrò essere, domani, nella vita, qualche cosa. Forse
troppo orgoglio è in questa mia; ma la maestà delle cose che mi circondano, la
purezza delle candide vette m’aprono l’anima al vero e scrivo ciò che penso… .
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Altri combattenti si tormentavano pel problema degli imboscati quasi di una que-
stione di lesa giustizia. Non così lui:
Certo che l’essere imboscati è poco onore: è certo che mostra ristrettezza d’animo
e sopra tutto paura. Ma appunto perché queste persone sono da considerarsi di grado
inferiore rispetto alla società, mi sembra inutile inveire oltre contro di loro. Sarebbe
un assurdo ammettere che gli italiani siano tutti valorosi e coraggiosi e quindi logico
è l’imboscamento .
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Ma talora il fanciullo vuole disciogliersi da questa austerità di pensieri e gravità
di opere; e sogna di ritornare a guerra finita «lo studente di prima, certo più allegro e
più matto di prima e sembrerà strano a lui stesso d’aver avuto certe responsabilità» .
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Quando poi un superstite dei Mille lo elogia e trova meschine le antiche battaglie in
confronto di quelle nuove, il superbo alpino prova addirittura un senso d’umiltà, ché
anche per lui le lotte del Risorgimento hanno senso di storia sacra .
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Così trascorse, in questa saldezza adamantina di carattere e in questa lucidità d’intel-
letto, che promettevano un uomo di doti eccezionali, più anni di guerra, finché non cad-
de all’estremo limite raggiunto dall’offensiva italiana dell’agosto 1917, sulla Bainsizza.
Spiriti affini a quelli del Berrini aveva Piero Pegna . Era venuto a combattere per
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l’Italia da Alessandria d’Egitto. Appena giunto ufficiale al fronte, lo coglie il rovescio di
Caporetto. Col suo reggimento copre la ritirata. Vede e ferma i fatti con una semplicità
spietata da cui solo di tanto in tanto erompe la passione dolorosa, ottusa dalla fatica,
dalla necessità d’agire, e dalla stessa immensità della sciagura.