Page 66 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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Il cimento della vita 17
disadatto a fare la propaganda orale con successo; disapprovavo le transazioni a cui
per opportunismo il partito era sceso coi clericali nell’anno precedente, al convegno
di Milano, biasimavo apertamente l’esaltazione che il partito andava facendo della
figura di Crispi, il cui programma espansionistico, non sorretto da alcuna onesta
preparazione economico-militare, mi era parso un colossale errore e niente più. Ri-
cordo la mia intima ribellione contro un celebre discorso dell’on. Federzoni al teatro
Vittorio Emanuele, appunto a motivo dell’infatuazione crispina dell’oratore. Ma se
rifiutavo il mio diretto concorso di parole, vidi subito il dovere di dare l’opera mia
con l’azione, onde accettai con entusiasmo l’invito di Corrado Corradino a parteci-
pare al comitato di preparazione civile, che presto assunse importanza notevole sotto
la presidenza del comm. Antonio Bianchi.
Nazione e singoli, dovevan superare la vita immediata per vivere la vita profonda;
santificare la vita con la prova della morte. Lo sentiva l’anima di Manfredi Lanza di
Trabia, incline ai pensieri d’intima religiosità:
Come, essendo interessati ad una cosa, si è portati ad esagerarla e a non valutarla
esattamente in rapporto alle altre: unico modo di vederla esattamente è il mettersi
al di fuori. Così è per la vita in genere: che bisogna dividersene completamente, ri-
nunziando ai legami con essa. Allora potrà cominciare la vita interiore e la coscienza
del tutto .
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La vita invadeva il regno della morte per piantarvi i suoi segni. Era una nuova fede
nell’immortalità, il rinnovarsi, come profondamente osservava, a proposito dei caduti
del suo paese, un grande storico di Francia, il Loisy, entro l’intima coscienza del dram-
ma celebrato dalla liturgia cristiana:
mors et vita
duello conflixere mirando
princeps vitae mortuus
regnat vivus.
«M’immagino – scriveva durante l’allenamento in un corso di skiatori Giuseppe
Garrone – già volante sulla neve, col polverio d’argento, col volto acceso e col cuore alla
gola, alla testa d’una bella masnada d’alpini. Ci pensi? Sento la gioia di vivere in una
visione di morte» .
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Questo vagheggiare un momento la propria vita, e idealmente staccarsene, rinun-
ziando ad ogni tentativo di salvezza codarda, offrir se stessi in olocausto al proprio ideale
patrio, alla coscienza del dovere, all’orgoglio virile dell’intima dignità, alle tradizioni
passate, al vanto futuro delle famiglie, è la prima stazione ideale che risalta dalle lettere
di guerra. Le variazioni della crisi del distacco sono infinite, secondo i temperamenti
individuali e le particolari condizioni: hanno spesso un accento commovente, perché
rivolte a madri e a spose che bisogna convincere dei sacrifici supremi. «Il più brutto