Page 67 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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18    Momenti della vita di guerra


          mestiere in tempo di guerra non è quello del combattente, ma quello della madre»,
          segnava nel suo diario un eroico caduto . Nell’insieme questi frammenti costituiscono
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          il più grandioso e commovente chant du départ, che si possa immaginare: di partita ide-
          ale da ciò che rende cara la vita. Talora, nell’esperienza letteraria, il sentimento nuovo
          s’esprime con le frasi convenzionali dei compiti del liceo: ma nello schema della frase
          rigida s’insinua qualcosa di nuovo. Uno scrive alla fidanzata:

               Sono orgoglioso di dare il mio contributo alla Patria nostra, perché essa affermi
             col sacrifizio dei suoi figli la sua grandezza al cospetto del mondo intero.


             E alla madre
                Quel che ho fatto è una cosa semplice, e doverosa; non è eroismo, è dovere, e
             nient’altro che dovere, il cui adempimento è però sempre una grande soddisfazione .
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             Del resto, la forma scolastica è un indizio. La scuola per quasi tutti era stata la vestale
          che aveva tenuti accesi sogni ed aspirazioni eroiche coi ricordi del passato . «È la guerra
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          che sognammo da fanciulli – confessa uno d’essi – quando nei primi libri ci appresero
          a odiare l’esercito austriaco» .
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             Si risvegliano poi le tradizioni di famiglia. Uno ricorda il bisavolo patriota del
          Cilento, fucilato nel 1828 dal Del Carretto ; un altro, il nonno deputato alla Co-
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          stituente romana del ’49 ; Gualtiero Castellini va ricercando nel Trentino i ricordi
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          del nonno Nicostrato, caduto nella campagna garibaldina del ’66 ; il vanto della
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          propria famiglia che nel ’48, fatto unico in Napoli, diede quattro fratelli volontari
          nell’esercito di Guglielmo Pepe, è un comandamento religioso per le anime eroiche
          dei fratelli Capocci. E Arturo Capocci così scriveva al fratello Teodoro, dopo che
          questi nei combattimenti del novembre ’15 a Oslavia s’era rivelato valorosissimo fra
          i valorosi granatieri:
               (Torino, 8 dic. ’15). Pare che tra i nostri amici e parenti abbia fatto grande impres-
             sione la tua brillante condotta: tu ne sarai sul serio fiero. Capisco come, non ostante
             le perdite sofferte e l’orrore dei tuoi feriti e dei tuoi morti, tu possa ora chiamare cara
             la tua quota 188. Ti ha aperta la via alla gloria. Ora è anche per te il caso di dire,
             come Vittorio Imbriani dei nostri quattro Capocci di due generazioni fa: «se non
             è morto, non è stata sua la colpa». Così hai, assecondato dalla tua fortuna, svolto
             brillantemente il tuo compito di soldato alla nostra guerra. Ci sarebbe naturalmente
             da augurarsi che prove così terribili non si ripetano ancor oltre per te: speriamo che
             sia veramente così. E tu stai veramente bene? Il terribile spettacolo e il pericoloso
             protagonismo, dirò così, delle giornate del 20-21 ecc. non hanno avuto alcuna im-
             pressione sui tuoi nervi? Certamente l’atmosfera lieta e calma del vittorioso che ora
             respiri insieme agli altri tuoi eroi ti avrà rinfrancato: il ricordo delle emozioni avute ti
             sembrerà ora sublime, la medaglia che avrai accrescerà l’onore della nostra famiglia.
             Hai tu pensato a tuo padre, a tua madre, alle tue sorelle, al tuo Arturo, che anelava
             di vestir come te la divisa del soldato? Che gioia, che soddisfazione per tutti! Bravo!
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