Page 69 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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20    Momenti della vita di guerra

               (Torino, 19 maggio ’15). Comprenderete benissimo che, se sarò promosso sotto-
             tenente, è mio dovere chiedere d’andare al fronte, e non contentarmi di fare istru-
             zioni alle reclute in un momento come questo. Ciò per due ragioni principalissi-
             me: primo perché noi effettivi abbiamo maggiori doveri di un povero ufficiale di
             complemento, padre di famiglia; secondo perché, per parere concorde di tutti gli
             ufficiali superiori, molto più faremo noi, sebbene non pratici e con poca teoria, ma
             volenterosi e desiderosi di farci onore, che un ingegnere richiamato in servizio… E
             poi capirete che la guerra non viene tutti i giorni, e che non presentarsi al momento
             buono, significa esser vigliacchi… All’ufficiale è necessaria una cosa sola: un po’ di
             sangue freddo e molto buon senso .
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             Questa logica, crudele pei cuori dei padri e delle madri, imperversava in quei giorni
          nelle migliori famiglie. I genitori vedevan dedurre dai presupposti stessi dell’educazione
          impartita la conseguenza terribile dell’offerta. Così nella famiglia Maiorino di Campo-
          basso. Tre sono i figli chiamati alle armi. Uno di essi, Roberto, di gracile costituzione,
          viene assegnato ai serviti di sanità. Rifiuta dinanzi al consiglio di leva, e si fa assegnare
          alla fanteria. Un altro, Manlio, memore dell’impegno d’onore assunto sostenendo l’in-
          tervento italiano, chiamato alle armi, non s’acqueta. Vuol partire subito, non vuole
          attendere che si apra il corso di Modena per gli allievi ufficiali; da Reggio Calabria
          scriveva al padre:
               (9 agosto ’15)… Né sarei in alcun modo capace di resistere a Reggio fino al I
             ottobre col pensiero di starmene chi sa per quanti mesi ancora lontano dai campi di
             battaglia, mentre migliaia e migliaia di fratelli stanno già da parecchi mesi a com-
             piere l’opera grande, l’opera bella in difesa della libertà e del diritto ed a versare il
             loro sangue per la liberazione degli oppressi fratelli nostri, per la grandezza e la gloria
             d’Italia. Ormai non esiste che un solo pensiero: l’Italia: ormai non bramo altro che
             portare il mio fucile sulla linea del fuoco. La patria ha bisogno di tutti i suoi figli in
             quest’ora sublime, e sarebbe davvero un’infamia il rifiutare il concorso della propria
             persona, specie quando si è stati accaniti assertori della guerra santa di liberazione .
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             Non contentato subito, arriva ufficiale al fronte alcuni mesi dopo. Non passano
          molti giorni che è colpito a morte a Santa Maria di Tolmino. Sulle stesse alture, in vista
          del cimitero dove riposava Manlio, nel marzo del ’16 cadeva anche il fratello Roberto,
          sulle cui lettere torneremo in seguito. Il terzo fratello, ufficiale del genio, ferito grave-
          mente, viene allontanato dal fronte, ma dopo Caporetto chiede di tornarvi, e rimane
          sulla linea del fuoco sino all’armistizio.
             Un altro giovinetto, Pierino Castagna, un buon ragazzo, che nelle sue lettere
          parla dei suoi superiori militari col sommesso rispetto del bravo scolaro per i ma-
          estri, sente con orgoglio che la guerra viene a lui: alla sua vita, che è agli inizi, si
          chiede una magnanima prova; anch’egli potrà spiegare la capacità di fatti grandi. E
          scrive alla madre:
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