Page 76 - Momenti della vita di guerra - Dai diari e dalle lettere dei caduti
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Il cimento della vita  27

               l’età della ragione… Questa sera ho sentito rivivermi nella memoria e nel cuore l’e-
               pica bellezza di quell’alba sanguinosa sulle colline di Monfalcone, e pensando a te e
               a Fefì, ai compagni d’arme, ai prodi caduti, ho provato un intenerimento indicibile.
               Son contento di me perché vedo adempiuta la più sacra ed alta aspirazione della mia
               vita, quella cioè di acquistarmi merito e stima con l’opera mia e di essere d’esempio
               col perfezionamento e miglioramento di me stesso alla mia creatura, che voglio edu-
               care ad alti ideali di onestà, di bontà, di rettitudine .
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               Dopo la licenza invernale, ritorna in linea, ma non lo turbano le malinconie e le
            nostalgie. Nella famiglia s’è esaltato il suo amore, che è tutt’uno col suo ardore eroico:
                 (10 aprile ’16). T’amo e sono orgoglioso di te, dei tuoi buoni sentimenti, della
               tua ineffabile bontà. Son lieto che tu abbia saputo conquistare l’affetto di mamma
               mia, dei miei, e t’amo di più anche per questo. Sono felice che tu mi abbia dato una
               creatura adorabile come Fefì, e t’amo anche per questo… Vivo felice anche qui; o
               per lo meno sereno e fiducioso del domani, perché penso che le meritorie privazioni
               di quest’anno di guerra, poniamo di un altro ancora, mi saranno ricompensate dalla
               felicità dell’intera vita. Penso a te e a Fefí, e invece di turbarmi, invece di sentire
               scossa la coscienza dagli aspri doveri a cui adempio e a cui dovrò adempiere chi sa per
               quanto tempo ancora lontano da te, mi rassereno. Penso a te e a Fefì, e mi sento con
               voi, perché io qui do l’opera mia modesta ma devota, non solo alla patria, ma anche
               alla famiglia, alla nuova famiglia di cui mi pare d’innalzare il decoro con l’opera che
               vale e non con le chiacchiere vane .
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                Nell’approssimarsi della Pasqua, la primavera tentava di rifiorire fra le opposte trin-
            cee, nelle rosse buche scavate dalle granate, su dagli alberi mutilati. La primavera in
            guerra portava coi suoi profumi acuto, pungente il senso e il ricordo di giorni sereni, di
            gioie respirate nell’aria . Non così pel Ruggiero. Al canto d’uno di quegli usignoli che
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            in Val d’Isonzo effondevano la loro poesia anche fra il rombar dei cannoni e il crepitar
            delle mitragliatrici, anche l’anima sua si leva liricamente in alto, nell’amor suo; una
            primavera gli fiorisce nell’intimo, pur fra gli orrori della guerra:
                 (20 aprile ’16). Notti lunari primaverili indimenticabili. Ieri ho cominciato a ripo-
               sare alle cinque e mezza del mattino: ho perduto l’ultima mezz’ora a godermi il canto
               d’un usignuolo venuto a cantarmi, presso la mia baracca, la poesia della vita con l’amor
               tuo. I suoi gorgheggi melodiosi, nella valle che si destava tutta rorida di rugiada alle
               prime luci del giorno, trovavano una dolcissima rispondenza nel mio cuore.
                 Pensavo che m’ami, e che io perdutamente t’amo, pensavo alla nostra cara creatura
               dormiente il sonno dell’innocenza, pensavo alla nostra felicità che, anche se siamo lon-
               tani e divisi dalla inesorabile barriera della guerra, vive, per virtù nostra, piena e bella
               nella poesia dei ricordi e delle speranze, e sentivo vibrar in me tutte le corde dell’anima.
                 Neanche in quel momento fu tocco il mio cuore da vani rimpianti e da imbelli
               timori; provai anzi un senso d’assoluta certezza nella benignità della sorte e nella
               protezione di Dio.
                 Già, chi come me compie il proprio dovere coscienziosamente in ogni circostan-
               za, chi come me si rassegna alla guerra non come ad un’avversità inevitabile, ma ne
               riconosce ed accetta la necessità salutare e mette a prova in essa le doti dell’animo
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