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Scenari Sahariani – Libia 1919-1943 “La via itaLiana aLLa guerra neL deserto”


            anche per gli automezzi, lo scavo e il mantenimento in efficienza di pozzi, la
            realizzazione di cisterne e soprattutto la costruzione di fortini con la funzione
            «di garantire alle colonne il possesso dell’acqua, di concedere loro un maggior
            riposo  sotto  la  protezione  dell’opera,  di  potersi  alleggerire  dei  feriti  e  degli
            ammalati, di potersi rifornire di viveri e munizioni» . Questi fortini, intesi quindi
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            non come semplici punti fortificati ma come veri e propri caposaldi logistici,
            dovevano essere facili da costruire, utilizzando per quanto possibile materiali
            disponibili  sul  posto,  e  dovevano  essere  di  basso  costo  perché  costruiti  per
            soddisfare una specifica esigenza in una particolare situazione che con il tempo
            poteva cambiare, richiedendo di spostarli o eliminarli senza preoccupazioni di
            carattere finanziario. Opportunamente posizionati, presidiati da una trentina di
            uomini armati con mitragliatrici e pezzi di piccolo calibro, protetti da una fascia
            di reticolato, potevano coprire una vasta area permettendo di dare all’azione
            delle colonne mobili un’elevata dinamicità e garantire al contempo la massima
            sicurezza alla guarnigione. Al riguardo Mezzetti osservava che «un reticolato ben
            costrutto, ben fiancheggiato da mitragliatrici, ben battuto da bombe a mano e
            fucileria» era assolutamente inviolabile con i mezzi a disposizione degli insorti.
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            Occorreva però che il perimetro non fosse troppo ampio altrimenti sarebbe
            stato impossibile presidiarlo con forze adeguate, e il reticolato non sorvegliato e
            non battuto non avrebbe impedito eventuali infiltrazioni.
               Secondo questi criteri, nel giro di pochi anni in Tripolitania fu allestita una
            rete di presidi che nel 1926 era articolata in tre zone, la Gefara, il Sud tripolitano
            e la regione orientale, divise a loro volta in settori con truppe sufficienti per
            il  controllo  del  territorio  in  condizioni  normali  e  anche  per  approntare
            nell’emergenza  robusti  gruppi  mobili.  Le  basi  sulla  costa,  munite  di  opere
            fortificate a carattere permanente o protette da fortificazioni campali sul modello
            del  “campo  trincerato”,  erano  un  lascito  dei  primi  tempi  della  riconquista  e
            assolvevano  ormai  soprattutto  funzioni  logistiche  e  di  presidio,  pur  essendo
            all’occorrenza in grado di contenere attacchi in forze ma, man mano che ci si
            addentrava all’interno, l’organizzazione del territorio assumeva le caratteristiche
            delineate da Mezzetti, con una rete di punti d’appoggio distanti tra loro non più
            di un paio di giornate di marcia, impiantati in corrispondenza di punti d’acqua e
            costruiti secondo uno schema che vedeva un nucleo di fabbricati per gli alloggi,
            i magazzini e la vitale stazione radiotelegrafica protetti da un muro di cinta con
            feritoie per i fucili e postazioni per mitragliatrici e pezzi di piccolo calibro con
            tutt’intorno una fascia di reticolato.  Erano fortini che avevano una funzione
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            40   O. MEZZETTI, Guerra in Libia op. cit., p. 123.
            41   Ivi, p. 132.
            42   Organizzazione difensiva delle Colonie, n. 410 RR del 1° maggio 1926, AUSSME, rep. L-8, b. 188,
               fasc. 3, citato in F. SAINI FASANOTTI, Libia 1922-1931 op. cit., p. 90.


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