Page 55 - Scenari Sahariani - Libia 1919-1943. La via italiana alla guerra nel deserto
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Controguerriglia e Controllo del territorio

            tattico-logistica  e  non  di  attrazione  nei  confronti  delle  popolazioni,  secondo
            la scuola francese che ne faceva dei punti d’ancoraggio per la strategia della
            “macchia d’olio”.  In Libia, tuttavia, questa funzione spettava ai centri abitati,
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            ai quali la sicurezza era garantita dalle strutture permanenti, sedi di guarnigione,
            realizzati nelle loro immediate vicinanze per facilitare il controllo degli accessi
            alla località e non trovarsi “soffocati” all’interno degli abitati, dove era più facile
            il  contatto  con  la  popolazione  ma  più  difficile  riuscire  a  intervenire  contro
            minacce provenienti dall’esterno. Una sistemazione analoga era stata realizzata
            in Cirenaica, dove peraltro la diversa natura dell’avversario, meglio organizzato e
            più coeso e motivato che in Tripolitania grazie all’azione unificante della Senussia,
            aveva determinato il moltiplicarsi delle fortificazioni permanenti a protezione
            degli abitati a scapito della realizzazione di punti d’appoggio funzionali all’azione
            dei gruppi mobili, e quindi dell’efficacia delle operazioni di controinsurrezione.
               L’organizzazione  del  territorio  e  l’allestimento  di  colonne  mobili  erano
            le  premesse  indispensabili  per  poter  ingaggiare  un  avversario  che  conosceva
            perfettamente il territorio e operava secondo le classiche tecniche della guerriglia,
            entrando in combattimento solo in condizioni favorevoli. I successi ottenuti nel
            1915 e l’atteggiamento passivo mantenuto in seguito dalle forze italiane fino
            all’inizio  delle  operazioni  di  riconquista,  lo  avevano  però  reso  baldanzoso  e
            troppo propenso ad accettare lo scontro in campo aperto. Anche il processo di
            apprendimento, e il conseguente adeguamento dello strumento militare con cui
            doveva ora confrontarsi, era stato ignorato, o comunque non apprezzato in tutta
            la sua portata, con le inevitabili conseguenze. Gli ufficiali alla testa delle colonne,
            che durante i sempre più incalzanti cicli operativi percorrevano incessantemente
            le regioni settentrionali della Tripolitania, combinavano l’esperienza maturata sui
            fronti della Grande Guerra con quella acquisita durante precedenti campagne
            africane,  e  avevano  ben  poco  del  “coloniale  insabbiato”  descritto  da  Caccia
            Dominioni.  Tutto  questo  li  aveva  portati  a  elaborare  soluzioni  tattiche  che
            tenevano conto delle capacità e delle qualità degli insorti per ottimizzare il tipo
            di risposta. Una sintesi esauriente ed efficace della tattica utilizzata in questa fase
            delle operazioni sulla Quarta Sponda è senz’altro quella proposta da Graziani, ma
            gli stessi concetti si ritrovano negli scritti di altri protagonisti di quelle vicende.
            Il dispositivo doveva essere articolato su più colonne che, manovrando per linee
            esterne e muovendo da punti diversi e lontani, convergevano sull’obiettivo da
            più direzioni disorientando l’avversario, obbligandolo a dividersi e togliendogli
            l’iniziativa. Una volta stabilito il contatto, l’avvicinamento doveva avvenire su un
            fronte il più possibile ampio, per massimizzare le possibilità di manovra e non
            lasciare spazio alla tradizionale tattica avvolgente degli arabi. Lo scopo ultimo


            43   G. POTIRON DE BOISFLEURY, The Origins of  Marshal Lyautey’s op. cit..


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