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Scenari Sahariani – Libia 1919-1943 “La via itaLiana aLLa guerra neL deserto”


                     Quando la colonna giungeva alla località ov’era stato segnalato l’accampamento
                  da sorprendere, i ribelli, ripiegate le tende, si erano già portati fuori del nostro
                  raggio  d’azione  e  continuavano  a  ritirarsi  sotto  la  protezione  dei  cavalieri  di
                  retroguardia che scaramucciavano con la colonna per ritardarne la marcia.
                     La colonna che non portava al seguito riserve d’acqua e spesso non ne trovava,
                  sul mezzodì, dopo aver percorso dai 20 ai 25 chilometri, si arrestava e poco dopo
                  doveva iniziare la marcia di ritorno. Era questo il momento atteso dai ribelli per
                  rifluire da ogni parte sulla colonna seguendone la marcia, sparacchiandole contro
                  e infliggendole qualche perdita fin entro le malcostrutte ridotte.
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               È facile comprendere come questo genere di azioni, per molti versi e fatte
            le dovute proporzioni simili, per quanto riguarda mezzi e risorse, alle missioni
            di “search and destroy” condotte in Vietnam, non portasse ad alcun risultato. Le
            truppe  subivano  qualche  perdita,  i  ribelli  anche  e  veniva  catturato  un  po’  di
            bestiame, ma la ribellione certo non ne risentiva e, come sottolinea Mezzetti, la
            vita nei duar, poco pericolosa e libera dalle restrizioni imposte a quanti vivevano
            nella fascia costiera perennemente sotto assedio, era una valida alternativa alla
            sottomissione: «Andarsene al dor, specie per i giovani, era una festa, e ciò spiega
            come spesso sui caduti trovammo la carta d’identità degli pseudo-sottomessi».
               Occorreva impostare le operazioni su basi diverse, in modo più organico e
            con mezzi più efficienti, a cominciare dall’impiego di più colonne mobili con una
            qualche autonomia logistica e in grado di convergere sulle formazioni ribelli non
            soltanto per batterle ma per distruggerle. Per farlo era necessario non soltanto
            percorrere il territorio, ma occuparlo e organizzarlo per impedire all’avversario di
            mantenervi la sua organizzazione politica e militare potendo disporre liberamente
            dei pascoli, dei boschi, dei terreni da semina e soprattutto dei posti d’acqua. Per
            utilizzare ancora le parole di Mezzetti, «si trattava di portare il sistema delle nostre
            occupazioni al di là dei loro territori di pascolo e di semina, accompagnando a
            un’azione energica, implacabile contro i ribelli, un’azione efficace di tutela dei
            sottomessi». In termini più moderni, e con la sintesi tipica della lingua inglese,
            si  potrebbe  dire  che  a  una  strategia  del  tipo  “search  and  destroy”,  dimostratasi
            inefficace, se ne doveva sostituire un’altra, del tipo “clear and hold”, con l’obiettivo
            di replicare in Cirenaica, in presenza di un’opposizione meno frammentata e più
            organizzata, il sistema dell’espansione a macchia d’olio attraverso l’occupazione
            e l’organizzazione di zone progressivamente sempre più ampie.
               Ancora una volta, anche se in forme diverse, emergeva la differenza principale
            esistente tra una situazione di guerra convenzionale e una situazione di guerra
            insurrezionale  protratta  nel  tempo,  differenza  che  risiede  in  primo  luogo
            nell’identificazione del centro di gravità, tanto per le forze governative quanto
            per gli insorti. In una guerra convenzionale il centro di gravità dell’avversario

            92   O. MEZZETTI, Guerra in Libia op. cit., p. 149-150.


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